UNA VITA IN CORSA PER LA SOLIDARIETÀ

Alex Zanardi, grande sportivo e grande uomo, con una storia che rappresenta un esempio per molti, soprattutto per l’impegno a favore dell’inclusione sociale delle persone svantaggiate. Recentemente nominato presidente di Fondazione Vodafone, è da anni testimonial di numerose iniziative di promozione sociale. Tra i suoi progetti la costituzione dell’associazione Bimbingamba, in collaborazione con R.T.M. (Ortopedia e Centro di Riabilitazione Casalino-Clinica Mobile nel Mondo del Dottor Claudio Costa), una onlus che realizza protesi per bambini con danni da amputazioni che non possono accedere a questo ausilio per ragioni economiche.

Ci parli della Sua opera a favore dell’inclusione sociale…
Non voglio ergermi ad esperto, né a studioso. Semplicemente se si guarda il mio passaporto ho accumulato molti timbri a testimonianza delle numerose esperienze vissute che ho messo a disposizione degli altri. Perché ho toccato con mano che nella vita sia le esperienze belle che quelle brutte sono importanti se si riesce a condividerle con altri. In passato, per via dell’età e del grande entusiasmo per i successi ottenuti in campo sportivo, ero molto più concentrato su me stesso e davo meno peso a certe responsabilità nei confronti della società. La mia storia personale, che ha portato delle difficoltà non previste, e l’età mi hanno regalato nel tempo una sensibilità maggiore. Oggi cerco di partecipare e di portare il mio contributo, come testimonial, a quelle iniziative o progetti che presentano una certa attenzione al sociale e alla solidarietà. Recentemente, tra l’altro, ho ricevuto la richiesta di diventare presidente di Fondazione Vodafone: per me un’opportunità in più per essere più vicino alle persone che hanno difficoltà ad avviare progetti per migliorare l’accessibilità e l’inclusione sociale perché mancano di risorse economiche.

Ci racconta il progetto Bimbingamba?
È un progetto a cui tengo particolarmente e che curo con attenzione, nato circa a metà degli anni 2000. Bimbingamba parte dall’idea di aiutare tutti quei bambini che hanno bisogno di una protesi, ma che non possono permettersela. Protesi grazie alla quale un bambino riesce a riacquistare, al di là della funzionalità tecnica, fiducia e sicurezza in se stesso. Quando ti trovi a trattare con un ragazzino che arriva da te guardando il pavimento, perché è l’unica forma di difesa che ha sviluppato per sottrarsi allo sguardo altrui, e che, dopo esser stato con te una decina di giorni, ride, scherza, salta, gioca con gli altri bambini guardando le persone negli occhi, è una soddisfazione immensa. È tanta la gioia che ricevi quanta quella che dai, se non di più. La difficoltà più grossa è quella di far conoscere questo progetto agli stessi bambini e per questo cerchiamo sempre di raggiungerne il più possibile, attraverso il passaparola o queste interviste.

Da dove arrivano i bambini con cui lavorate?
I bambini che aiutiamo provengono da ogni parte del mondo e vengono assistiti durante tutta la loro permanenza in Italia anche dal punto di vista logistico. Spesso hanno perso uno o più arti per incidenti, malattie o per lesioni provocate da esplosioni o armi da fuoco in zone di guerra. Il nostro aiuto arriva laddove fatica ad arrivare la Sanità: per esempio in molti Paesi la protesi non è considerata un “salva vita”, uno strumento medico indispensabile alla sopravvivenza, e quindi la Sanità pubblica non supporta il suo acquisto per i bambini che ne hanno bisogno. A maggior ragione le protesi sportive. Qui cerchiamo di intervenire noi: perché se è vero che una protesi sportiva non ti salva la vita, può aiutarti ad inserirti meglio nella società.

A che punto siete con il progetto?
Ad oggi, presso il Centro Ortopedico RTM di Budrio (Bologna), sono stati trattati oltre 100 bambini. Il gruppo operativo (tecnici, fisioterapisti e ortopedici) della onlus è lo stesso che mi ha aiutato nella ripresa e riabilitazione a seguito dell’incidente. Il progetto è speciale perché, se spesso le associazioni umanitarie sono costrette a impiegare gran parte delle risorse a disposizione per mantenere attive le strutture necessarie, per noi avviene il contrario. Innanzitutto perché il costo maggiore di un’associazione come la nostra dovrebbe derivare dal sostentamento di figure specializzate come fisioterapisti e ortopedici, che però in questo caso prestano la loro opera gratuitamente e in questo modo fanno il regalo più grande ai bambini. Inoltre, negli anni tante persone si sono avvicinate al gruppo e oggi portano il loro sostegno. Addirittura, le persone che hanno protesi diventate inadeguate, regalano le loro
strutture mettendole a disposizione degli altri. Non avendo competenze tecniche ortopediche, il mio aiuto a Bimbingamba si limita nel promuovere il progetto e nel donare interamente alla onlus i compensi che ricevo come ospite d’onore in eventi o manifestazioni. Uno dei nostri maggiori problemi è infatti raggiungere e informare più persone possibili bisognose d’aiuto.

Lo sport come fattore di inclusione sociale…
Lo sport rappresenta un terreno fertile capace di trasmettere valori importanti, di aggregare persone e soprattutto di fare inclusione. Con il sacrificio e con l’impegno nello sport, se pianti un seme qualcosa cresce. Spero che anche a livello culturale si agisca affinché tutti i ragazzi vengano invogliati a crearsi un progetto sportivo, sostenendoli con strutture e impianti sportivi idonei. Io, grazie a quel Go Kart, sono diventato quello che sono: che non vuol dire in assoluto tanto o poco, ma significa la miglior persona che potessi diventare.

Quali le politiche necessarie per favorire l’inclusione sociale?
Non parlo da esperto perché non lo sono, piuttosto faccio un discorso di principio: bisogna arrivare a fare sinergia e lavorare con razionalità, cercando di intercettare le reali esigenze delle persone con disabilità. D’altra parte le persone svantaggiate devono far sentire la loro voce, sempre e senza timore, per mettere in moto quel volano grazie al quale tutti quanti si arrivi a capire e a migliorare le situazioni. Bisogna anche cambiare il fattore culturale: la rampa stradale occupata o il marciapiede dissestato non sono i soli problemi per la mancata inclusione. Ma è l’educazione sociale. Il Paese non è meritocratico, e invece bisogna insegnare ai bambini che hanno subito amputazioni a riscoprire i propri talenti e ad investire in essi: non è detto che se ne hanno persi alcuni non ne abbiano altri anche migliori di quelli di qualcuno che ha preso il loro posto nell’ambito professionale o sportivo.

Lei ha rivoluzionato la sua vita ed è diventato il testimonial della lotta per l’inclusione sociale: quali gli esempi migliori che ha potuto vedere in questi anni?
Esistono numerose iniziative, più o meno importanti, spesso legate ad una persona che nella vita ha avuto a che fare con qualche dramma imprevisto. Io apprezzo tantissimo tutti questi progetti ma sarebbe bello se ci fossero più punti d’appoggio istituzionali a dar sostegno a queste iniziative. Ad esempio anche attraverso Fondazione Vodafone sono entrato in contatto con associazioni che realizzano progetti importanti, come “Rondine” che cerca di aiutare con progetti di formazione quei giovani che non hanno possibilità di studiare correttamente nel loro paese.

Ha mai pensato di entrare in politica per portare avanti la sua opera?
Ci ho pensato perché è successo che me lo abbiano chiesto. Ma non mi interessa: a un medico viene chiesto di fare il giuramento di Ippocrate perché la sua è una missione di vita. Anche per un politico dovrebbe essere così, quando in realtà in Parlamento ci sono diverse persone che dimostrano di essere là solo per se stessi. Io, quindi, dico di no, non perché ho il timore di cadere in quella tentazione, ma perché non credo di avere preparazione necessaria ad assolvere un compito così importante. Per fortuna ci sono anche buoni esempi. Anzi, vorrei vivere in un Paese in cui ogni giorno esiste l’esaltazione di colui che è realmente preparato ed è motivato a mettere l’interesse del Bene Comune davanti al proprio affinchè vengano promossi certi valori fondamentali.

Molti la ammirano e la considerano come un esempio di vita: ha un motto particolare o un consiglio da regalare?
Consigli non ne ho perché non sono nessuno per salire in cattedra, posso solo testimoniare che nella vita ogni esperienza può essere trasformata in un fattore positivo di crescita e trasformazione personale. Eppure la fortuna non sempre entra dalla finestra, bisogna comunque lavorare e impegnarsi nelle proprie possibilità.