UNA VITA DA MEDICO NELLE AZIENDE
Il Medico del Lavoro: quello che era percepito solo come un obbligo di legge oggi viene visto come un’opportunità per la salute e il benessere di tutti. Un vero e proprio passaggio culturale, frutto di una maggiore sensibilizzazione nelle aziende.
La prima Azienda che ho ‘visitato’, circa 25 anni fa, come Medico del Lavoro per il Centro di Medicina, fu una piccola falegnameria costituita dal titolare e da due dipendenti. Già lavoravo come libero professionista nel trevigiano e avevo cominciato da poco a collaborare con una delle prime realtà sanitarie private che aveva intuito realmente l’importanza di questo servizio. Alle aziende veniva offerta la possibilità di eseguire le visite mediche nella propria sede, utilizzando un automezzo adattato tipo ambulanza, non essendo la maggior parte di queste attrezzate per le visite mediche. Da allora è cambiato assai poco: il nostro territorio, infatti, dal punto di vista produttivo, è rimasto per lo più caratterizzato da aziende di piccole o medie dimensioni. Sono cambiati invece il modo di lavorare del medico di fabbrica e l’approccio del datore di lavoro rispetto alle problematiche della sicurezza e della prevenzione nei luoghi di lavoro. Il Centro di Medicina di Conegliano, con il quale avviai il servizio di medicina del lavoro, mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con numerose aziende del territorio. Questo per la professionalità di una struttura con medici ‘competenti’ specializzati, con accertamenti sanitari integrativi. Ma anche per una mutata sensibilità delle aziende del nostro territorio su questo tema.
Il cambiamento significativo della Medicina del Lavoro è iniziato alla fine degli anni ’70. In quel periodo, anche in seguito ai fermenti sociali e alle contestazioni degli anni immediatamente precedenti e alla introduzione dello studio della epidemiologia occupazionale, l’osservazione dei fenomeni morbosi, oltre che sul singolo, era indirizzata anche a popolazioni di lavoratori o a gruppi omogenei per fattori di rischio. Il metodo epidemiologico ha permesso un più preciso studio della nocività degli ambienti di lavoro, osservandone gli eventi morbosi in base alla variazione della loro frequenza in una popolazione di esposti a un determinato rischio, valutandone il nesso causale o concausale e l’efficacia delle misure di prevenzione adottate. Sono andate quindi diminuendo le numerose situazioni in cui le aziende erano diventate dei cosiddetti ‘visitifici’, sedi di visite mediche ripetute alla ricerca di qualche effetto clinico precoce o preclinico di malattia occupazionale sul singolo lavoratore. Le patologie più comuni erano la silicosi, il saturnismo, le emopatie da benzene, l’asbestosi, le neoplasie vescicali da ammine aromatiche, l’intossicazione da solfuro di carbonio, l’asma da TDI, le dermatiti croniche. Oggi queste patologie sono per lo più scomparse, o meno gravi, grazie alle nuove normative sulla sicurezza e prevenzione e per effetto di una nuova cultura della prevenzione nonché delle nuove conoscenze mediche ed epidemiologiche.
Fino ad allora, la sorveglianza sanitaria sui lavoratori si basava sul DPR 303/56 che aveva introdotto l’attività di prevenzione del medico del lavoro in fabbrica in funzione della presunzione del rischio. Aveva quindi innescato degli automatismi che portavano ad applicare in maniera pedissequa la legge.
Successivi passi legislativi fondamentali sono stati fatti con il D.Lgs 277/91 che ha creato la figura del ‘medico competente’ (peraltro con una definizione poco felice) affidandogli compiti più precisi all’interno della fabbrica, con l’obbligo del sopralluogo periodico negli ambienti di lavoro e della partecipazione alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori.
La svolta verso la moderna concezione della medicina del lavoro è poi arrivata con il recepimento di Direttive CEE nel D.Lgs 626/94 e poi, definitivamente, nel Testo Unico D.Lgs 81/2008 che è anche una raccolta normativa più organica. Questa ha modificato profondamente il profilo operativo degli adempimenti e delle responsabilità dei vari protagonisti del processo produttivo. In particolare è stato creato per l’azienda un servizio ad hoc per la prevenzione e la protezione ed è stata data qualità e professionalità al medico di fabbrica – medico competente, ponendolo a fianco del Datore di lavoro nella valutazione del rischio e nella attuazione delle misure di ‘tutela della salute e integrità psico-fisica dei lavoratori’, in parte responsabilizzandolo anche nelle scelte sulla sorveglianza sanitaria.
Oggi le patologie e i fattori di rischio da prendere maggiormente in considerazione sono le patologie da sovraccarico biomeccanico, da fattori psico-sociali, da sensibilizzazione, da nuovi composti chimici e agenti fisici. Il Testo Unico prevede poi in aggiunta anche compiti peculiari per il medico competente come la collaborazione alla ‘attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione alla salute, secondo i principi della responsabilità sociale’.
L’ambiente di lavoro rappresenta un contesto favorevole per influenzare in modo positivo le abitudini di vita dei lavoratori. Il perseguimento degli obiettivi di promozione della salute avviene attraverso una serie di azioni che integrano quelle della ‘classica’ prevenzione e sicurezza occupazionali con programmi di educazione sui comportamenti individuali negativi per lo stato di salute quali il fumo di tabacco, il sovrappeso corporeo e le abitudini alimentari non corrette, la sedentarietà, la mancata partecipazione agli screening pubblici antitumorali, l’abuso di alcool, l’eccessiva esposizione ai raggi UV, la non aderenza alla terapia prescritta per la prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolare come il diabete, l’ipertensione arteriosa o l’ipercolesterolemia.
Indubbiamente, le realtà aziendali più grandi, più sensibili ai problemi di immagine e all’aumento della produttività sono disposte a impegnare maggiori risorse, strutturali ed economiche, per il raggiungimento di questi obiettivi; nelle piccole aziende viceversa questi interventi sono di più difficile realizzazione, anche per motivi di massa critica.
In Paesi come gli Stati Uniti, dove i problemi di salute del lavoratore sono percepiti come un aggravio di costi per il Datore di lavoro, sia per la ridotta performance dei lavoratori sia per l’incremento dei costi assicurativi, la strategia di promozione della salute è radicata da anni.
In Italia, fra l’altro, le aziende che introducono programmi di promozione della salute nei luoghi di lavoro possono ottenere agevolazioni economiche-assicurative da parte dell’INAIL.
Le piccole e medie imprese occupano quasi i due terzi della forza lavoro in Europa, hanno però difficoltà superiori rispetto alle imprese di maggiori dimensioni nel campo della prevenzione e della sicurezza. La maggior parte di esse ha bisogno di assistenza per far fronte ai propri obblighi di sicurezza e salute; inoltre spesso l’adozione di determinati presidi per la prevenzione e l’attenzione per la cura della salute dipendono dalla soggettività dei titolari.
Tuttavia nel corso degli ultimi anni, grazie ad una maggiore sensibilizzazione culturale, si può constatare un miglioramento generale delle strutture, degli spazi e degli strumenti messi a disposizione, così come è migliorata la programmazione ed il supporto offerto agli operatori della sicurezza nei luoghi di lavoro.