Una mossa a scacchi è la scelta di un solo secondo
Una macchina come allenatore instancabile ma anche come avversario. Intervista a Paolo Ciancarini, Professore ordinario di Informatica all’Università di Bologna. Serve solo un secondo per decidere la mossa giusta, è la mente a vederla per prima, solo dopo averla fatta si comprende se la mossa sia stata giusta o sbagliata. Il punto di vista di Ciancarini, che è nel back-end della macchina, ci racconta i processi umani e artificiali che sono alla base di questo gioco.
Il suo lavoro è frutto di una grande passione?
Come professore, il mio lavoro è insegnare e fare ricerca nell’ambito delle scienze informatiche. Quando ho scelto di studiare Scienze dell’Informazione, nel 1977, avevo 18 anni, ed ero affascinato dall’Intelligenza Artificiale applicata al gioco. Erano gli anni in cui si usavano gli Scacchi come laboratorio per costruire programmi “intelligenti”. Lo scopo era di battere i migliori giocatori umani. Questo risultato venne conseguito da alcun ricercatori IBM nel 1997; la macchina che costruirono si chiamava Deep Blue. Oggi un modello derivato da Deep Blue si chiama Blue Gene ed è una delle macchine più potenti del mondo. Grazie alla passione per gli scacchi ho poi studiato non solo l’Intelligenza Artificiale, ma anche i linguaggi per i supercalcolatori e l’ingegneria del software. Quindi in un certo senso il mio lavoro è frutto della mia passione per il gioco degli scacchi.
Come si impara a giocare a scacchi?
Le regole di base, cioè come si muovono i pezzi, si imparano in molti modi. Per esempio io ho imparato a 12 anni da un amico con cui giocavo all’oratorio. I giornali all’epoca riportavano le partite del campionato del mondo tra il sovietico Spassky e l’americano Fischer. Io ricostruivo le partite e me le facevo spiegare da amici più esperti di me. I miei due figli invece hanno imparato da me. So che molti giovani giocatori oggi imparano direttamente dal computer.
Come si impara a giocare bene?
Per diventare forti giocatori bisogna avere la possibilità di frequentare forti giocatori. Da adolescente io vivevo in una città abbastanza piccola, Civitavecchia, e quando divenni il più forte giocatore locale, verso i diciotto anni, ebbi difficoltà a migliorare. Allora incominciai a studiare i libri di scacchi scritti da grandi giocatori o teorici del gioco. I libri italiani erano pochi, quindi li compravo in inglese o a volte in russo. Oggi ho una collezione di più di 2000 libri di scacchi, ma naturalmente ne ho studiati davvero solo una piccola parte.
Come fa una mente a prendere una decisione?
Bella domanda, cui rispondere è molto difficile. Cos’è una mente, e cos’è una decisione? Diamo per scontato di sapere cos’è una mente. In un certo senso la mente è ciò che fa il cervello: per esempio quando il cervello muore la mente non c’è più. Si ha una decisione quando la mente identifica diverse alternative e ne sceglie una. Nel caso degli scacchi le diverse scelte corrispondono alle diverse mosse possibili. La mente dello scacchista esamina una posizione e sceglie una mossa in vari modi, in funzione del tempo che ha a disposizione per la scelta. Per esempio, se si gioca con un tempo molto limitato (certe partite su internet durano un minuto in tutto, cioè si gioca circa una mossa al secondo), la mente non costruisce la lista delle possibili mosse alternative. La percezione è quella funzione della mente che opera la sintesi dei dati sensoriali e gli assegna un significato. Vedo una torre sulla scacchiera, ma il suo “significato” sono le caselle in cui si può muovere. Bisogna imparare a “vedere” che la torre è il pezzo da muovere e su una certa casella. Dunque nel caso del gioco “veloce” è proprio la percezione allenata dall’esperienza che filtra le alternative. Molti grandi giocatori, per esempio il campione del mondo attuale, il norvegese Magnus Carlssen, dicono che non visualizzano le alternative: piuttosto la mossa da giocare “compare” nella mente che osserva la scacchiera. Solo dopo averla giocata, secondo Carlssen, ci si accorge se è sbagliata. Il punto è che la grande maggioranza delle mosse giocate da campioni in questo modo sono “giuste”, cioè adeguate alla situazione. Lo studio e l’allenamento continuo affinano la percezione sicché la mente “vede” solo la mossa giusta mentre “trascura” tutte quelle sbagliate. Qui sarebbe interessante capire perché talvolta la mente, anche se esperta e allenata, sbaglia. Esistono molti studi in ambito psicologico, per la precisione nell’ambito delle scienze cognitive, che studiano questo genere di argomenti.
Come fa un programma a prendere una decisione?
Un programma decide in modo diverso. Il programma costruisce la lista di tutte mosse possibili, per ogni mossa tutte le contromosse, e così via finché c’è tempo. Alla fine si ottiene un “albero delle alternative possibili” in cui vengono confrontate tutte le posizioni ottenibili. Questo metodo sceglie la mossa che porta nella posizione “migliore”. Allo stato attuale della tecnologia un programma su personal computer riesce a confrontare decine di miliardi di posizioni possibili prima di scegliere.
I giocatori artificiali danno la stessa emozione di quelli veri?
Come avversari no. Direi piuttosto che un programma è un allenatore instancabile, sempre pronto al bisogno. I giovani giocatori oggi usano sistematicamente i programmi per preparare le partite contro gli umani.
Lei preferisce essere battuto più da una persona oppure da un computer?
Un famoso cartone che vinse l’oscar qualche anno fa, Geri’s Game, mostra un simpatico vecchietto che gioca contro se stesso, e si arrabbia quando perde. Nessuno “preferisce essere battuto”; io ricordo ancora il bruciore terribile delle prime sconfitte in torneo ufficiale, subite a quattordici anni. Diciamo che quando perdo con una persona ci rimango molto più male che non quando perdo contro un programma. La sensazione più strana è comunque perdere contro un programma che ho progettato io stesso. Il programma è un’estensione della mia mente, quindi quando perdo, perdo contro… me stesso, proprio come Geri.
Quali sono le novità in questo campo?
Dal punto di vista commerciale esistono molti programmi molto forti, che migliorano marginalmente anno dopo anno, ma che già oggi battono qualsiasi giocatore umano. Dal punto di vista delle ricerche in psicologia esistono molti studi che cercano di capire come funziona il cervello che gioca, in particolare come si fa a giocare bene. Dal punto di vista informatico invece si studiano oggi giochi più complessi degli scacchi, alcuni ben noti, come il Go, altri più moderni e pensati apposta per mettere in difficoltà i computer, come ad esempio uno che si chiama Arimaa. Esistono poi i programmi che imparano a giocare qualsiasi gioco, questo tema si chiama “general game playing”, ed è uno dei temi più attuali della ricerca in Intelligenza Artificiale.