STORIA E TECNOLOGIA. L’innovazione tecnologica negli arsenali militari della Grande Guerra
Doveva durare meno di sei settimane, durò più di cinquantuno mesi provocando la mobilitazione di più di 70 milioni di uomini in tutto il mondo e la morte di oltre 9 milioni di essi. Si tratta del più sanguinoso conflitto armato mai prima combattuto: la Grande Guerra, che portò con sè la scoperta e l’invenzione di nuove tecnologie di difesa e attacco.
Iniziata con la dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia (28 luglio 1914) vide subito l’entrata in guerra della Germania i cui comandanti ne avevano previsto la fine “prima che fossero cadute le foglie dagli alberi”. Ai primi di settembre, francesi e inglesi fermarono i tedeschi a quaranta chilometri da Parigi. La battaglia della Marna segna la fine della guerra di movimento e l’inizio di una logorante guerra di trincea. Da qui in avanti, l’impegno di tutti gli eserciti sarà di perfezionare le armi già esistenti e di svilupparne di nuove per ottenere quella supremazia che la strategia militare, ferma alle battaglie ottocentesche, non riusciva ad ottenere.
LE UNIFORMI
Alcune innovazioni, per la verità, erano già state attuate negli anni precedenti. La più importante, l’adozione di uniformi pratiche e sobrie che, in qualche modo, precorrono le tute mimetiche delle successive battaglie. Già dal 1908 l’esercito italiano aveva iniziato a sostituire la tradizionale uniforme blu con quella grigioverde che prove sul campo avevano dimostrato essere meno visibile e che fu conservata fino alla Seconda Guerra Mondiale. Colori tenui, kaki o grigio, furono adottati anche dagli altri eserciti. Fece eccezione la Francia che mantenne la tradizionale divisa, giubba blu e calzoni rossi, fino allo scoppio della guerra, scelta che provocò un alto numero di perdite nelle prime fasi del conflitto. Poi l’esercito francese adottò una divisa azzurro chiaro.
GLI ELMETTI
La prima innovazione introdotta dalla Grande Guerra nell’equipaggiamento dei soldati è stata l’elmetto. La maggiore potenza di fuoco delle armi, dovuta alla progressiva sostituzione della polvere nera con le polveri da sparo infumi evidenziò la necessità di dotare i soldati di maggiori mezzi di protezione passiva. Le polveri senza fumo sperimentate per prima dalla Francia nel 1885 avevano notevoli vantaggi sulla polvere nera. Non producevano fumi che accecavano i soldati e ne segnalavano la posizione ed essendo più potenti permettevano di ridurre il calibro delle armi consentendo ai soldati di portare con sé un maggior numero di munizioni. Inoltre le nuove polveri, a base di nitrocellulosa, lasciavano meno residui con una minore necessità di pulire l’arma in dotazione. Per i sistemi di protezione si trattò, in qualche modo, di un ritorno al passato. Furono infatti sperimentati elmi, corazze, scudi, tutti progressivamente abbandonati, o utilizzati solo in particolati situazioni, in quanto l’ingombro che producevano era superiore alla protezione che offrivano. L’unico che si rivelò utile e pratico fu l’elmetto, che tuttora fa parte della dotazione delle truppe combattenti. Dopo avere sperimentato un elmetto, in due versioni, rivelatosi pesante e scomodo, l’esercito italiano adottò l’elmetto realizzato nel 1915 dal generale francese L.A. Adrian.
I primi elmetti forniti dalla Francia erano di colore blu e recavano il monogramma della repubblica francese. L’elmetto Adrian era composto di quattro pezzi saldati che costituivano un oggettivo elemento di debolezza. Dal 1916 l’Adrian per l’esercito italiano fu prodotto in Italia riducendo i pezzi a due con una migliore protezione. L’elmetto più efficace della Grande Guerra è stato certamente quello tedesco, la cui forma è rimasta sostanzialmente inalterata nel tempo e oggi, a cent’anni di distanza, è rinnovata nei modelli in uso alle truppe Nato. Prodotto a partire dal 1916, in sostituzione del tradizionale ma inefficace elmo chiodato (pickelhaube) in cuoio, questo elmo fu adottato anche dagli alleati della Germania, con alcune modifiche. La più particolare, quella realizzata dall’esercito turco che aveva la visiera tagliata per permettere ai soldati di religione mussulmana di portare la fronte a terra durante le preghiere rituali.
LE ARMI
Grandissima la varietà di armi utilizzate durante la Grande Guerra frutto dello sviluppo tecnologico e che da allora sono entrate stabilmente negli arsenali militari. Per quanto riguarda l’esercito basti pensare ai lanciafiamme, ai mortai, ai carri armati. Senza considerare i gas, e relative maschere antigas prodotte anche in versione per i cavalli, che furono poi banditi in forza di una convenzione internazionale. La battaglia sui mari ebbe un nuovo protagonista, il sommergibile, mentre l’aviazione, non ancora arma autonoma, ebbe notevoli sviluppi, considerato che il primo volo del più pesante dell’aria era avvenuto il 17 dicembre 1903, ma non ebbe una influenza determinante sulle sorti del conflitto.
Per quanto riguarda le armi in dotazione ai soldati, due sono quelle che più hanno caratterizzato la Grande Guerra, con caratteristiche diametralmente opposte: le mitragliatrici e le bombe a mano. Le prime armi proprie di difesa, le seconde armi d’assalto. Entrambe già utilizzate in precedenza, furono perfezionate nel corso del conflitto e costituiscono tuttora strumenti basilari per qualsiasi guerra. All’inizio della Guerra le mitragliatrici pesavano circa 60 chili ed avevano necessità di almeno quattro soldati per il loro funzionamento. Alla fine del conflitto pesavano 9 chili e necessitavano di due soli soldati, uno per sparare ed uno per le munizioni. La loro potenza di fuoco equivaleva a quella di 100 fucili circa. Il problema principale che presentavano, e che presentano era quello del raffreddamento. Due i sistemi utilizzati, quello ad aria, ottenuto ampliando la superficie della canna che veniva anche sostituita dopo un certo numero di colpi, e quello ad acqua, alimentato da un apposito serbatoio. Questo sistema, anche se più efficace, aggiungendo un altro elemento, il serbatoio d’acqua, limitava però la maneggevolezza dell’arma. Non essendo l’acqua sempre disponibile in prima linea, era prassi usuale per i soldati urinare nel serbatoio per reintegrare il liquido evaporato. Un problema irrisolto, e sempre legato al funzionamento dell’arma, fu quello degli inceppamenti. Fu anche per questo che le mitragliatrici venivano posizionate in gruppi (nidi di mitragliatrici), in modo da mantenere il più possibile costante il volume di fuoco. La mitragliatrice era anche l’unica arma fissa in dotazione agli aerei e maneggiata dal pilota che normalmente era anche l’unico membro dell’equipaggio. Il primo problema che si presentò fu di far sì che l’arma, montata davanti al pilota, non sparasse sull’elica dell’aereo. Le prime mitragliatrici furono quindi montate su specie di trespoli con notevoli difficoltà di gestione e pratica impossibilità di riarmare l’arma in caso di inceppamento. Fu un pilota francese, Roland Garros, a realizzare per primo un meccanismo di sincronizzazione tra sparo e rotazione dell’elica, copiato poi dai tedeschi, che permise di posizionare l’arma in modo più comodo per il pilota.
La bomba a mano, o granata, è arma individuale di lunga storia. Nella Grande Guerra fu l’arma più impiegata negli assalti alle trincee nemiche e anche se l’espressione ‘assalto alla baionetta’ è divenuta quasi proverbiale, ben poco queste potevano fare contro una raffica di mitragliatrice. In buona sostanza l’uso della baionetta era relegato ad attività poco guerresche ma utili nella vita quotidiana dei soldati, quali aprire lattine e simili. Negli assalti erano certamente più efficaci le bombe a mano. Basti pensare che nel luglio 1916, a Pozières, in Francia, si calcola che australiani e inglesi abbiano lanciato in due giorni circa 30.000 bombe a mano.
Le bombe a mano si suddividevano, e ancora si suddividono, in bombe a percussione e bombe a tempo. Le prime esplodevano per impatto, le seconde con una miccia temporizzata. I soldati preferivano nettamente le seconde che non correvano il rischio di esplodere per colpi accidentali, sempre possibili nella concitazione della battaglia.