SILVIA MARANGONI: CAMPIONESSA MONDIALE “MADE IN ITALY”

SILVIA MARANGONI: CAMPIONESSA MONDIALE “MADE IN ITALY”

Bella, giovane, simpatica e molto tenace. Silvia Marangoni, 10 volte campionessa mondiale di pattinaggio a rotelle “in line” – l’ultimo titolo conquistato a Taipei in Taiwan a novembre – riassume tutte queste qualità con grande scioltezza e semplicità.

Silvia è riuscita a fare la storia di questo sport, facendosi conoscere anche al di fuori dell’ambiente del pattinaggio. Impresa non facile per chi pratica in una disciplina minore. Sul podio nel mondiale di novembre ha preceduto l’atleta di casa, Hsin Chin – Ling, e la storica rivale americana Natalie Motley.

Silvia, quando hai iniziato a praticare questa disciplina? Come ti sei avvicinata?

Ho scoperto il pattinaggio a rotelle a soli 3 anni, nel 1988. È stata mia sorella maggiore a iniziare questa disciplina. I miei genitori l’accompagnavano in palestra ad Oderzo e io andavo con loro. Per me è stato amore a prima vista. Infatti mia sorella ad un certo punto ha smesso, mentre io ho voluto continuare a tutti i costi. E a partire dal 1992 non è più stato per me a livello amatoriale, ma ho cominciato a fare gare. Questo a seguito dell’arrivo in palestra di un nuovo allenatore che ha portato il club a livelli alti e in grado di distinguersi nelle competizioni. In quel periodo sono arrivate le prime vittorie. Negli anni a seguire, magari a scuola, ho provato altri sport ma direi che mi sono sempre rivelata un po’ negata.

Quanto impegno serve per arrivare ai tuoi livelli? Cosa ti spinge?
Fin da piccola sono sempre stata sui pattini: ricordo quante ore ho passato sulla pista in cemento vicino a casa mia. E quante cadute! Ma non mi sono mai fermata. Di impegno ce ne vuole tanto, fra allenamenti e gare: bisogna mantenere una certa disciplina alimentare, fisica e anche di vita. Quando ero adolescente, vedevo le mie amiche andare in discoteca mentre io dovevo andare a letto presto perché l’indomani c’era la gara. Eppure, non mi è mai dispiaciuto eccessivamente. Anche perché questo sport mi ha trasmesso forza e valori importanti, quali tenacia e spirito di squadra, e soprattutto organizzazione – non è stato facile riuscire ad incastrare tutto, pattinaggio, scuola, amici – valori che mi hanno formata negli anni. Con i miei genitori, comunque, avevo fatto un patto: potevo continuare a pattinare solo se andavo bene a scuola. Alle superiori – sono diplomata in ragioneria – è stato duro, ma sono riuscita a mantenere la promessa. Spesso, però, mi trovavo a studiare la sera tardi o la mattina presto. Ma anche questa era una sfida! L’impegno e i sacrifici sono stati fatti anche dai miei genitori, perché non è uno sport propriamente economico e nemmeno noto. Infatti, a loro devo molto perché hanno deciso di investire nella passione della figlia sacrificando molto.

Come sei riuscita a far diventare la passione una vera e propria professione?
Non è stata una scelta facile: il percorso da intraprendere non era scontato anzi, visto che questa disciplina sportiva non olimpica a livello professionistico è praticata solo nel gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre della Polizia Penitenziaria. Fin dall’inizio diversi detrattori mi hanno invitato a mollare per un percorso di vita più semplice. Eppure sono andata avanti: dopo essermi informata sulla modalità del percorso da intraprendere, mi sono iscritta come volontaria in ferma prefissata di un anno e ho fatto 12 mesi di caserma, e mi sono fatta 3 mesi e mezzo di CAR ad Ascoli, poi sono stata dislocata prima a Milano e successivamente a Pordenone. Finito il servizio militare a fine del 2008, ho lavorato come ausiliaria del traffico in attesa di partecipare nel 2011 al concorso pubblico per entrare nel corpo di Polizia Penitenziaria come agente semplice. Una volta vinto il concorso mancava la tappa finale, ovvero i corsi della scuola di formazione a Parma e, poco dopo la loro conclusione, ho ricevuto la notizia di essere entrata nelle Fiamme Azzurre. Attualmente risulto in sede nella casa circondariale di Trieste, distaccata a Treviso. E in tutta Italia siamo solo in due (cfr. oltre a Silvia anche la romana Francesca Ciani Passeri) a praticare a livello professionistico il pattinaggio artistico. Quando lascerò il mondo delle competizioni sarò contenta di continuare a lavorare nel corpo della Polizia Penitenziaria, una realtà particolare perché entri in contatto a volte con realtà che conosci normalmente attraverso i romanzi o i film.

Che tipo di allenamento fai?
Lavoro tanto in palestra sui pattini esercitandomi sulle figure e i salti. Ma faccio anche attività a terra, vera e propria preparazione atletica per rafforzare i muscoli. In passato mi sono esercitata anche nel pattinaggio artistico su ghiaccio per migliorare ulteriormente le mie perfomance. Da piccola ho seguito anche lezioni di danza classica e sudamericana per imparare ad interpretare bene le musiche. In questa disciplina si va avanti finchè il corpo regge, non esistono limiti d’età. Questo specialità nel pattinaggio in Italia è poco nota, eppure siamo il Paese campione del mondo grazie a te… È vero che non è una disciplina conosciutissima, anche se per esempio i rollerblade sono molto diffusi tra i giovani. La federazione da tempo ha inviato la richiesta al comitato olimpico per entrare tra la discipline a cinque cerchi ma per diversi motivi, purtroppo questo sport è sempre finito nella short list e ne sono stati scelti altri. A volte esistono dei motivi contingenti allo sport che portano a promuovere quella disciplina piuttosto di un’altra. Questo fatto comporta, di conseguenza, anche grande difficoltà nel reperire sponsor che possano sostenerti. In tutto il mondo, in Europa soprattutto, ci sono numerosissimi iscritti… speriamo che almeno in futuro ci sia uno sviluppo positivo. Nonostante tutte le difficoltà la scuola italiana è la più famosa e la più forte del mondo: recentemente abbiamo vinto 15 medaglie su 25.

Paure e certezze quando scendi in pista?
La certezza è quella di aver dato il massimo, sempre. Un mondiale in genere si prepara con una certa intensità in 5 mesi circa, e in quel periodo si devono fare ancor più sacrifici.
Paure tante: di cadere o di sbagliare le figure e i tempi. Ma soprattutto tanta paura di deludere chi mi guarda e mi segue e crede in me. I miei allenatori, come i miei parenti… Sono tanti i fattori che entrano in gioco quando fai una gara, ed essendo poi uno sport a valutazione anche soggettiva, diventa ancora più complicato. Devi piacere ma devi anche piacerti! Tra l’altro devo ammettere che sono anche scaramantica: ho tutta una serie di rituali prima di una gara che eseguo anche per vincere le paure.

Secondo te quali sono le peculiarità che ti fanno primeggiare in campionati mondiali fra tante atlete?
Sicuramente gli elementi nuovi che in ogni competizione porto. Nell’ultimo mondiale a Taipei ho introdotto un triplo salto. Per il pattinaggio su ghiaccio non è una novità ma per quello dei pattini “in line” è una difficoltà non irrilevante, perché entra in gioco la forza di attrito che è diversa. E poi c’è il mio cavallo di battaglia, una trottola speciale che faccio su una sola rotella, che è stata chiamata “movimento Marangoni”.

A chi dedichi le tue vittorie e chi devi ringraziare?
Le mie vittorie da sempre sono dedicate ai miei cari, a mia nonna Elena – che è venuta mancare recentemente e alla quale sono sempre stata particolarmente legata – alla mia famiglia che mi ha sostenuta fin dall’inizio. Ma anche ai miei allenatori, che ringrazio anche molto per il sostegno e per la professionalità che hanno sempre dimostrato. Un ringraziamento grande va anche allo Skating Club Oderzo, la società in cui sono cresciuta.

Hai un aneddoto in particolare che ricordi?
Ce ne sarebbero tanti, ognuno legati ad emozioni speciali. Ma senz’altro mi ricorderò per sempre il periodo legato alla vittoria riportata dopo tutto il lavoro svolto per vincere il concorso in polizia. Lo chiamo il mondiale della svolta.

Quanto è importante la componente tecnologica nel pattinaggio?
Se non a livello di allenamento, dove la componente umana ancora è fondamentale, sicuramente per quanto riguarda i materiali del pattino. Oggigiorno è molto più leggero e maneggevole e questo ha permesso di snellirci nell’esecuzione artistica. La realizzazione del telaio, in particolare, è importante perché il pattino nell’esecuzione artistica è soggetto a posizione stressanti.

Infine, hai un consiglio da dare alle giovani che vogliono avvicinarsi a questo sport?
Certamente! Bisogna divertirsi: devi praticare questo sport, come qualsiasi altro, perché principalmente ti diverte e ti piace. E poi non mollare mai. Bisogna sempre credere in qualunque sogno, anche se ci sono persone che ti spingono a fare il contrario. Crederci sempre, mollare mai anche se cadi: e questo è uno sport in cui si può anche cadere spesso e sempre, non importa se sei campionessa mondiale! Ogni gara la si affronta come se fosse la prima volta!