REATI IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO
Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che disciplina la “Responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti dipendenti da reato”, costituisce una vera importante rivoluzione ordinamentale che, anche se determinata direttamente dalla necessità di adempiere ad obblighi internazionali, è logicamente e culturalmente conseguente allo sviluppo dei principi di legalità e responsabilità caratterizzanti la nostra Costituzione Repubblicana alla luce della quale ogni legge deve essere interpretata.
Il fatto che l’illecito amministrativo dipendente da reato sia accertato e perseguito con le regole del procedimento penale (art. 34 D.Lgs. 231/01) e che all’Ente “si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili” (art. 35 D.Lgs. 231/01) apre uno spazio di azione, finora quasi inesplorato, per le investigazioni e le indagini preliminari della Polizia giudiziaria e del P.M. – Pubblico Ministero (artt. 326 e 327 c.p.p.). In particolare, ogni volta che all’esito delle indagini emergono fondati indizi di reato nei confronti della persona fisica di cui all’art. 5 D.Lgs. 231/01:
– la Polizia giudiziaria dovrà denunciare sia la persona fisica alla quale è attribuito il reato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, sia l’ente stesso per le responsabilità amministrative;
– il P.M. dovrà aprire due procedimenti, normalmente da riunire, uno, per il reato nei confronti della persona fisica indagata e, l’altro, per l’illecito amministrativo dell’ente.
Quando poi si considerino i tipi di reati ai quali la disciplina si riferisce e il loro continuo aumento, a partire da tutti quei reati che fanno riferimento alle violazioni del d.lgs 9 Aprile 2008 nr.81, stante la disciplina sul “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro”, emerge chiaramente come le indagini per responsabilità amministrative degli enti siano destinate ad assumere sempre maggior rilievo quantitativo e qualitativo e a gravare, maggiormente, per la materia trattata, per gli altri Organi di polizia giudiziaria. Affrontando l’argomento dei modelli di organizzazione e gestione, ci si deve innanzitutto porre il quesito se gli stessi siano o meno obbligatori per i reati colposi.
In effetti, mentre il Legislatore del D.Lgs. n. 231/2001 si esprime in termini di facoltà di adozione, quello del D.Lgs. n. 81/2008, all’ art. 30, dispone che “il modello di organizzazione e gestione… di cui al Decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato …”. In sintonia con la dottrina prevalente, in linea con lo spirito del D.Lgs. n. 231/2001, nel ritenere che quel “deve essere adottato” debba intendersi nel senso che “per avere efficacia esimente il modello deve essere adottato ed efficacemente attuato”, si propende per l’assoggettabilità di legge, ovvero una la mancata adozione del modello organizzativo, ne deriva una responsabilità penale e amministrativa in capo alla figura apicale posta al vertice aziendale (Amministratore Delegato, Direttore Generale, ecc.).
Il modello organizzativo ex D.Lgs. 231/01 deve essere considerato aggiuntivo e non sostitutivo del sistema di procedure previsto dal Diritto penale del lavoro e l’analisi dei rischi va necessariamente estesa alla totalità delle aree/attività aziendali. Il tutto a beneficio di quella trasparenza voluta dal legislatore e tanto necessaria e importante nelle attività oggetto della normativa che interessa. Insomma, la responsabilità amministrativa delle società e degli enti costituisce ormai un sistema normativo che è parallelo al sistema penale tradizionale e che merita una riflessione attenta e scrupolosa.
REATI COLPOSI, MODELLI ORGANIZZATIVI E LORO CONTENUTO
L’analisi delle possibili modalità attuative dei reati previsti dall’art. 25-septies corrisponde alla valutazione dei rischi lavorativi effettuata secondo i criteri previsti dall’art. 4 del D.Lgs. 626/1994 e dalle altre disposizioni normative e regolamentari aventi lo stesso oggetto e profilo, quali ad esempio il D.Lgs. 494/1996 (cfr. Linee Guida Confindustria del 31 marzo 2008). L’art. 30 si preoccupa di approfondire le caratteristiche tecniche che i modelli devono possedere per avere efficacia esimente, definendone pertanto il contenuto e l’ambito di applicazione. In particolare il Legislatore individua i seguenti obblighi giuridici inerenti:
Continuando nell’analisi dell’art. 30, va evidenziato che nel secondo comma il Legislatore sancisce che il modello debba prevedere idonei sistemi di registrazione dello svolgimento delle sopracitate attività di prevenzione, nel terzo comma una adeguata articolazione funzionale per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio e nel quarto un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello, prevedendo espressamente che il riesame e l’eventuale modifica dello stesso devono essere adottati “quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività, in relazione al progresso scientifico e tecnologico”.
Proseguendo e incentrando l’attenzione sul quinto comma, ci si chiede se l’ente che adempie alle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 81/2008 ha automaticamente la certezza di sfuggire agli effetti del D.Lgs. n. 231/2001. Con tale comma, infatti, il Legislatore, per la prima volta dall’entrata in vigore della cd. responsabilità amministrativa delle imprese, introduce la possibilità di adottare modelli organizzativi conformi alle linee guida Uni-Inail (soggetto diverso dall’associazione rappresentativa di categoria) evidenziando nel contempo che al verificarsi di tale ipotesi i modelli “si presumono conformi ai requisiti” richiesti dall’art. 30. Parte della dottrina, ritenendo che nelle ipotesi di violazioni a norme antinfortunistiche la forza esimente dei modelli è sancita ex lege, si esprime in senso affermativo. Accettare tale impostazione significa automaticamente precludere al giudice non solo la valutazione sull’idoneità dei modelli sotto il profilo contenutistico, ma anche la possibilità di verificare l’esistenza di tali condizioni (qualora i modelli siano conformi agli standard tecnico strutturali di cui ai primi 4 commi dell’art. 30). Ciò significherebbe, peraltro, considerare di diritto speciale, all’interno del sistema della cd. Responsabilità amministrativa, la disciplina dettata dall’art. 30.
Un’altra parte della dottrina, che si ritiene di condividere, è del parere che la conformità indicata dal Legislatore non comporti assolutamente nessun “bollino blu” per l’ente, atteso che l’Autorità Giudiziaria dovrà formulare, anche di fronte ai reati di omicidio colposo e lesioni, ai fini della concreta operatività dell’esimente ex art. 6 D.Lgs. 231/2001, il proprio giudizio sull’efficacia dei modelli organizzativi. Quella dell’art. 30, comma 5, è da considerarsi infatti una presunzione relativa che non esclude conseguentemente il sindacato del giudice. Sempre a parere di tale orientamento dottrinale, l’onere della prova ricadrebbe sulla pubblica accusa anche nelle ipotesi di reati commessi da soggetti in posizione apicale. Il c.d. Decreto correttivo del T.U. (D.Lgs. nr.106/09) ha introdotto il comma 5-bis ai sensi del quale “la commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro elabora procedure semplificate per la adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sono recepite con Decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali”.
Concludendo l’analisi del più volte citato art. 30, va rilevato che per la prima volta si prevede la possibilità di finanziamento pubblico dell’attività di redazione del modello per le imprese fino a 50 lavoratori (cfr. sesto comma). Appare infine opportuno inserire nel regolamento di disciplina dell’impresa, come vincolanti per tutti i dipendenti, i principali doveri previsti dall’art. 5 del D.Lgs. 626/1994.