QUANTA ANIMALITÀ UMANA C’È NELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?

QUANTA ANIMALITÀ UMANA C’È NELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?

Negli anni ‘50 gli studi sull’Intelligenza Artificiale (IA) sono partiti con l’esaltazione della razionalità e la banalizzazione della parte animale, è per questo che oggi l’IA imita molto bene l’intelligenza meccanica. Oggi si dice che la nostra parte animale non è per niente secondaria, pertanto è rientrata a pieno regime negli studi sull’IA. Piergiorgio Odifreddi ci trascina in un affascinante percorso che ricalca le origini, l’etica, i sentimenti e la stupidità umana nell’Intelligenza Artificiale.

Cosa è per Lei l’Intelligenza Artificiale (IA)?
Ci sono tanti tipi di intelligenza, c’è quella naturale che si suppone sia quella degli uomini, – ma non tutti sono così fortunati – poi c’è l’intelligenza animale che riguarda anche una buona parte di noi, infine l’intelligenza militare o meccanica che riguarda la semplice esecuzione di comandi. In fondo quest’ultima è quella che si cerca di trasferire in una macchina. L’IA è il tentativo di far fare alle macchine quello che fanno gli uomini, attraverso l’uso dell’intelligenza meccanica. Lo studio dell’IA è iniziato negli anni ‘50 con Alan Turing. L’idea era di far fare dei calcoli ad una macchina e capire se dietro questo ci potesse essere qualcosa di più profondo. Turing pensò subito al gioco degli scacchi, che ha una parte prettamente legata ai numeri e un’altra parte più creativa. Infatti, Turing fece il primo programma per far giocare a scacchi un calcolatore. Durante l’esperimento la macchina perse in poche mosse contro l’uomo. Oggi a distanza di 60 anni avviene esattamente il contrario. Questo però non significa che le macchine sono più intelligenti, utilizzano solo dei processi diversi da quelli dell’uomo.

Si può parlare oggi di computer intelligenti?
Dipende da cosa s’intende per intelligente, Turing si è posto questa domanda. Ci sarebbero tante risposte, quella filosofica comporterebbe farsi domande sui grandi temi della vita, come cosa è l’amore. Turing, però, era una persona più pratica e decise di dare una risposta operativa, con un test, appunto il test di Turing. In concreto lui diceva che se non si riconosce la differenza di risposta di una macchina da quella di un uomo, vuol dire che chi sta rispondendo simula bene l’uomo. Questo significa che è intelligente allo stesso modo. Oggi non credo che nessuno si preoccupi di costruire un computer con un’intelligenza in senso generale, che sappia parlare di musica, poesia, o altro, invece se parliamo di campi specifici ci sono grandi progressi in atto. Ne è esempio il mondo della medicina con i cosiddetti sistemi aperti per la cura del fegato: nel programma vengono inserite le conoscenze specifiche di un pool di medici, possibili domande e possibili risposte sulla diagnosi.

Alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici si può pensare che il cervello umano possa essere riprodotto nel suo emisfero destro, ovvero, quella parte preposta alla percezione, alla creatività, ai sentimenti?
Credo si siano preoccupati poco di mettere i sentimenti nei computer. Agli inizi dei primi studi sull’IA, che risalgono al primo vero congresso nel 1956, Herbert A. Simon si distinse per le sue previsioni. Herbert era un tipo interessante ed eclettico: da una parte prese il premio Nobel per l’economia, dall’altra parte vinse la medaglia Turing, ossia l’equivalente del premio Nobel per l’informatica. Herbert predisse che di lì a 10 anni l’IA avrebbe portato dei computer in grado di battere gli uomini a scacchi, oppure di dimostrare dei teoremi. Per gli scacchi è andata molto bene, un po’ più a rilento è andata la dimostrazione dei teoremi, anche se esistono esempi di teoremi che il computer ha dimostrato prima ancora che lo facesse l’uomo. All’inizio si pensava che l’uomo fosse un animale razionale e che l’animalità fosse una cosa banale. Lo diceva anche Cartesio: “gli animali sono come le macchine, l’unica differenza che c’è tra l’uomo e la macchina sta nella ragione e nello spirito”. Dunque, l’ingenuità di quei tempi ha portato a considerare poco l’animalità e a concentrarsi sulla razionalità: la matematica e i suoi processi. Poi qualcuno si è posto la domanda, se simulare la parte animale è davvero così facile. La cosa paradossale è che mentre c’è stato un successo sull’imitazione della razionalità, ricreare le parti animali di noi non è stato per niente semplice. È vero che l’uomo è un animale razionale, tuttavia questa è una parte secondaria di noi, perché può essere più o meno riconducibile alle macchine, quello che invece è difficile simulare è proprio il nostro lato animale, che abbiamo capito essere altrettanto importante, è un aspetto su cui si può lavorare.

Se i numeri sono alla base dei calcoli informatici e se l’informatica sta studiando come riprodurre il cervello umano in un computer, è possibile che alla base del nostro cervello, dei nostri ragionamenti e pensieri ci sia una combinazione di numeri?
È sicuro, anzi in realtà prima di tutti questi studi sull’IA – parlo degli anni ‘40 – i neurofisiologici, in particolare Warren Sturgis McCulloch, dicevano che il sistema nervoso fatto di neuroni è paragonabile ad una rete elettrica con degli impulsi. McCulloch, insieme al matematico Walter Pitts, realizzò un primo modello di rete neurale: una simulazione elettrica attraverso fili e porte elettriche del substrato del cervello. Qui ci sono senz’altro dei numeri, quando la corrente passa c’è la metrica binaria. Oggi molti studi sull’IA preferiscono questo modello di rete neurale anche se non è esattamente uguale, per esempio in alcune risposte: i nostri neuroni spesso non hanno una risposta immediata, come quando all’avvio di un interruttore corrisponde l’accensione immediata della lampadina. Diciamo che si tratta di un’approssimazione che non toglie nulla all’idea di fondo.

Alcune macchine ormai compiono delle operazioni meglio dell’uomo, pensa che a lungo andare l’uomo possa arrivare ad avere problemi di autostima?
Credo non interessi molto se un computer sia in grado di fare i calcoli più velocemente dell’uomo, è semplicemente un ausilio. Certo se uno pretende di essere Superman, vuol dire che ha già dei problemi di base ma se usa il computer come supporto non vedo il problema di autostima.

Immaginiamo che fra 100 anni ci sia un androide che riesca a simulare l’uomo nei suoi pensieri e ragionamenti, Lei di cosa parlerebbe con lui?
Gli direi la stessa cosa che direi ad un essere umano, noi siamo degli androidi, noi siamo delle macchine biologiche fatte di cellule, sangue, le macchine elettroniche sono fatte di fili e possono fare tutto quello che fa una macchina biochimica. Certo i nostri pezzi di ricambio sono più complessi. Ci siamo evoluti in modo casuale e caotico nel corso degli anni, c’è invece chi crede nella mano di Dio. In realtà, chi conosce bene l’uomo, semmai crede il contrario. Se ci fosse stato un programmatore alla base della nostra creazione sarebbe stato bocciato. L’IA fa le cose in fondo in modo da sostituire l’immagine di un Dio pasticcione con un Dio razionale. Finalmente facciamo le cose come si sarebbero dovute fare, se ci fosse stato davvero un Dio.

La robotica sta facendo passi da gigante, bisognerebbe, secondo Lei, iniziare a pensare all’aspetto etico?
L’etica riguarda noi uomini, non i robot. Isaac Asimov con le sue leggi sulla robotica aveva cercato di identificare un’etica dei robot, tuttavia era comunque soggetta alle leggi degli uomini, come per esempio stabilire che le macchine devono sempre obbedire agli uomini. Questo dimostra che Asimov pensava a dei robot esclusivamente al servizio dell’uomo. L’etica è una questione puramente soggettiva, l’abbiamo creata noi, a meno che qualcuno non creda che ci sia stata data da un’entità superiore. Senza l’etica rischiamo di vivere come in una jungla senza regole e in continuo pericolo. L’etica la facciamo noi, basti pensare al fatto che spesso cambia da paese a paese.

Come vede il rapporto tra uomo e macchina?
Noi le macchine le costruiamo perché ci servono. Anche se l’uomo, spesso, tende a trattare la macchina come un figlio. Le macchine che solitamente sono solo degli ausili, sovente diventano i nostri padroni, vedi chi è ossessionato dall’acquisto della macchina più grande o dall’ultimo modello di smartphone.

In quali campi della società secondo Lei l’IA ci permetterà di progredire?
Nell’ambito della medicina per esempio, gli interventi al seno fatti dalle macchine, oppure gli interventi agli occhi, tutto questo è già una realtà. Il progresso c’è nella misura in cui non si diventa schiavi.

Invece, quali i settori in cui sarebbe deleterio che l’IA intervenisse?
Di per sè non ce n’è nessuno, qualunque parte della nostra vita può essere migliorata. Un coltello ci serve per tagliare il cibo, ma può anche essere usato per uccidere delle persone. È lo stesso per le automobili, servono per spostarsi, ma a volte noi uomini vogliamo provare l’ebbrezza della velocità che spesso porta alla morte. L’IA non può essere deleteria ma è dove la stupidità umana può spingersi attraverso l’IA che può creare dei problemi.