PAOLO SCHIANCHI – Come comunicare nell’era del post-web?
Il design tra parole che costruiscono sguardi e immagini che raccontano storie.
I Millennials hanno già trent’anni, la realtà aumentata sta entrando nella nostra quotidianità, l’immagine domina sulla parola: cosa succede a livello comunicativo?
Ne parliamo con Paolo Schianchi, docente Visual communication e interaction design e creatività e problem solving presso l’Università IUSVE – Venezia e Verona.
Come si è evoluta la cultura della comunicazione? Da dove siamo partiti e come siamo arrivati alle tecnologie mobili?
Partiamo dal fatto che la cultura, il modo in cui noi veniamo a conoscenza delle cose, ha avuto un’evoluzione. Prima orale, poi scritta, poi visiva. Cos’ha creato in noi questo percorso, dal punto di vista cognitivo? Nella prima fase dovevamo ricordare ciò che vedevamo per poterlo raccontare. Le immagini erano dentro di noi. La scrittura ha portato la cultura fuori di noi e la cultura visiva inizia a mescolare le due precedenti: l’immagine è in parte fuori da noi, in parte simbolo da riconoscere e ricordare dentro di noi. Quando abbiamo iniziato a comunicare con le immagini, con la diffusione nel Novecento di fotografia e grafica, abbiamo iniziato a leggere le cose in modo diverso. Dalla fine degli anni Novanta, le immagini sono arrivate in tutti gli elementi che utilizzavamo, internet, computer e oggi i mobile device. Impariamo a conoscere le cose non più attraverso ciò che leggiamo, ma ciò che vediamo. Quando vediamo su Facebook le immagini forti di una strage, immediatamente ci viene alla memoria quello che già conosciamo ma, al tempo stesso, viene passato un messaggio nuovo rispetto a ciò che sta accadendo.
Muoversi ogni giorno pur restando fisicamente fermi in un posto: questo oggi è possibile. Come identifica il rapporto tra i vari device e l’uomo?
Credo che in questo momento ci troviamo nella seconda fase del cambiamento. Nella prima, i device ci permettevano di restare fermi in un luogo, la casa o l’ufficio, e essere in collegamento col mondo; oggi con i dispositivi portatili possiamo uscire, ma quando usciamo, per riconoscere il luogo in cui siamo, abbiamo bisogno di collegarci. A cosa serve il selfie? Serve a identificare chi siamo in un luogo. La realtà, per esistere, deve essere resa irreale, cioè portata nella realtà del web. Questa interconnessione tra uomo e riproduzione dell’immagine è diventata la nostra condizione. Personalmente non trovo sia negativa, è soltanto un modo nuovo di uscire, un modo nuovo di conoscere luoghi.
L’immagine prima di tutto: è questo il motto della società odierna. Come si evita di cadere tutti nello stesso calderone?
Questa è una domandona. Spesso la parola immagine, se si arriva da una cultura pre-visiva, è considerata “negativa”, solo apparenza. La nuova cultura visiva ci ha insegnato che l’immagine è una cosa molto più complessa, ricca di layer da interpretare. Una nuova lingua, difficilissima perché ancora non la conosciamo appieno, siamo quasi degli analfabeti. Chi sa già scrivere attraverso le immagini è in grado di farci passare dei messaggi senza che noi ce ne accorgiamo. Molto spesso, a lezione, quando invito i miei studenti a leggere un libro, mi dicono che è lungo; se chiedo di vedere un’immagine, nessuno mai mi chiede quanto è grande. Ma in realtà un’immagine costruita in modo corretto, oggi, è molto ricca, piena di significati tanto quanto lo era una volta il libro scritto. Tra tutta la spazzatura visiva che invade oggi il web, le immagini che bucano sono veramente poche: quelle che possiedono un substrato culturale e visivo che permette di comprendere l’intenzione di chi l’ha costruita.
E la parola? Che fine ha fatto?
Secondo me la parola è molto interessante in questo momento, merita di essere studiata. Non è scomparsa, si è semplicemente trasformata. Prendiamo Twitter, dove in 140 caratteri dobbiamo far passare un messaggio. Non possiamo usare la parola a livello descrittivo, ma occorre generare delle immagini visive. La parola viene utilizzata in frasi che rimandano a delle immagini. “Siamo sul baratro”: non stiamo guardando al significato delle parole, ma immaginiamo di trovarci in una situazione pericolosa, la quale rimanda attraverso il contesto a un’altra situazione che ci fa capire cosa sta succedendo. La parola è in completa evoluzione, il significato nuovo della composizione della frase ha cambiato il nostro modo di intendere le cose.
Non crede che l’immagine possa essere sinonimo di una società superficiale, ovvero, incapace di approfondire, di farsi delle domande, di capire che oltre l’immagine può esserci una storia diversa, dei sentimenti, delle persone? Proprio come dice Fernando Pessoa, tutto ciò che vediamo è qualcos’altro, oppure è paura di nascondersi?
Torniamo a quello che dicevamo prima. Se consideriamo la civiltà dell’immagine come semplice superficialità della visione, la risposta è sì. Ma se costruiamo l’immagine come un nuovo lessico, a quel punto possono nascere delle cose che narrano la profondità delle persone, l’esperienza delle persone, e possono raccontarci. La cultura dell’immagine in cui viviamo è figlia di tutta la storia dell’arte visiva. Anche davanti a un quadro costruiamo delle storie, perché dietro quel quadro c’è una grande cultura visiva. Possiamo fare lo steso discorso oggi, anche se il mezzo di espressione non è più la pittura a olio. La maggior parte di quello che resterà di noi nel futuro, sarà costituito da immagini, che per essere capite hanno bisogno di una chiave di lettura. Così come è accaduto con la Stele di Rosetta.
È in forte crescita l’attenzione verso l’immagine virtuale, quella della realtà aumentata. La realtà “vera” non ci basta più! Perché abbiamo bisogno di allargarla?
La realtà “vera” dovrebbe bastarci. Possiamo potenziarla per avere nuove informazioni. Ad esempio, dopo l’applicazione della realtà aumentata attraverso il gioco dei Pokémon, sono stati pubblicati degli studi molto interessanti, due in particolare. Il primo sull’applicazione della realtà aumentata da parte del Museo Rubin di New York, che ha iniziato a far conoscere opere del passato attraverso la possibilità di entrare nel museo e scoprire cosa c’è dietro l’immagine, tramite il mobile device. E lo stanno facendo anche gli urbanisti del Nord Europa, stanno studiando attraverso i movimenti della realtà aumentata le abitudini delle persone e la possibilità di sopperire a certe dinamiche, quali la paura. Gli urbanisti hanno cercato per anni di portare le persone nei parchi della periferia, senza riuscirci, ma ci è riuscito Pokémon Go. La realtà aumentata cambia il nostro modo di usare la città. Ovviamente la quotidianità deve avere il sopravvento, la realtà aumentata deve essere al suo servizio.
Qual è la verità oggi?
Dico sempre che la verità è solo la bugia che ci piace di più. Non siamo mai riusciti a trovare una verità “vera”, unica. È tutto una trasposizione di quello che pensiamo sia la verità. L’Undici settembre, ad esempio, è stato uno dei primi eventi a poter essere documentato coi telefonini, e nessuno può sindacare se sia o meno avvenuto, ma poi sono state raccontate milioni di storie diverse a riguardo.
Creatività e visual marketing post-web: in che modo le aziende possono muoversi in questa direzione?
Sono assolutamente da tenere in considerazione. Ci tengo a specificare la scelta del post-web, perché significa che siamo già oltre la cultura del web, che è entrata in noi. Usiamo il web senza porci la domanda “perché lo sto facendo”. I nuovi intellettuali sono già immersi nel web. Molti artisti lavorano soprattutto con elementi multimediali, e anche se lavorano con la carta, il pennello, la matita, per dare vita al lavoro devono buttarlo nel web. Come dicevamo prima, per esistere deve essere lì.
Qual è il design della comunicazione di oggi?
Quello che è in grado di essere altamente visivo ma capace di recuperare la nostra storia legata alla parola. Il designer della comunicazione oggi deve sapersi muovere su tutti e due i piani, soprattutto quando entra nella superficie del web in cui il confine si è perso. Potenzialmente un file word è infinito. Siamo noi a decidere quando mettere il punto.
In che modo, secondo lei, un’azienda b2b che vende servizi dovrebbe progettare la propria comunicazione nel tempo del mobile?
Anche nel b2b il comunicare deve avvenire dal punto di vista visivo. È fondamentale trasmettere una visione di sé che contenga storia e cultura dell’azienda. Il web tende ad azzerare la storia, che invece non deve assolutamente perdersi. Tutti i medium a disposizione devono essere utilizzati a seconda delle loro caratteristiche. La corporate identity non deve più essere la ripetizione della stessa cosa, ma la declinazione secondo il canale che si sta utilizzando.