PAOLO NESPOLI – Houston, abbiamo un problema!
di Dora Carapellese
L’AI è indispensabile per andare su Marte
Il controllo sulla tecnologia non può essere lasciato al caso e l’affidabilità
deve essere messa al primo posto. La tecnologia dello spazio è obsoleta ma
affidabile; le stesse navicelle Sojuz non sono molto lontane dalle loro antenate degli anni Sessanta. L’ultimo ritrovato tecnologico in un’azienda sulla Terra può anche non essere testato; nello spazio, invece, se non esaminato e collaudato adeguatamente può uccidere.
Tanti bambini sognano di diventare astronauta. Come è nato il suo progetto di indossare la tuta spaziale?
Nasce dall’aver visto in prima persona in televisione le immagini della Luna e come tanti bambini di allora sognavo un giorno di poter essere lì. Ma sono cose dette più che altro da un ragazzino spinto dal momento di gloria che gli astronauti stavano vivendo. Poi bisogna coniugare il sogno con la realtà e capire, una volta realizzato, se sia effettivamente quello che ti piace. Dico sempre ai ragazzi di decidere pensando anche al fatto che quel sogno sia spendibile nella re altà e che ti dia da vivere soprattutto. L’ideale sarebbe tramutare in un lavoro le proprie passioni, ma questo non è sempre possibile. Quando ho deciso di provare a realizzare questo sogno, se mi avessero fatto firmare una carta in cui si diceva che avrei dovuto vendere l’anima per fare un terzo di quello che ho fatto, avrei detto sicuramente di sì; perché era veramente un sogno impossibile. Oggi sono riuscito a diventare astronauta, certo non sono andato sulla Luna, ma ho praticamente fatto tutto quello che potevo fare: tre missioni spaziali, sono stato in orbita quasi un anno, sono stato sullo Shuttle, ho volato sulla navicella Russa e sulla Stazione Spaziale Internazionale, ecc. Ho lavorato molto per arrivare a questo. Tutto quello che ho ottenuto è stato raggiunto con sacrificio e determinazione. Oggi mi sento realizzato ma paradossalmente mi guardo dentro e dico cosa faccio quando divento grande?
Nell’immaginario collettivo, quando si pensa agli strumenti per esplorare lo spazio, c’è la convinzione che si tratti di tecnologie al di sopra di tutto quello che noi usiamo su questo pianeta. Quindi tecnologie all’avanguardia che noi sulla Terra dovremmo pazientare per avere.
Noi essere umani abbiamo la difficoltà di gestire sistemi complessi, e quando lo dobbiamo fare ci appoggiamo alle macchine. Abbiamo perso la sonda su Marte perché gli ingegneri che avevano disegnato i motori utilizzavano il sistema di misura inglese, mentre chi aveva fatto i calcoli il sistema metrico decimale. Sono cose che succedono perché siamo essere umani e quindi imperfetti. Se da un lato lo spazio è il posto al mondo dove ci deve essere la tecnologia più avanzata, di fatto invece è obsoleta. Perché nello spazio non ci si può permettere di sperimentare, tutto deve essere collaudato prima. Le faccio un esempio concreto: per portare un laptop nello spazio è necessario un lungo percorso. Si partirebbe da una prima fase di ricerca sul mercato dei modelli che rispecchiano le caratteristiche tecniche da noi scelte; individuati tre/quattro modelli si passa alla fase successiva, ovvero verificare come si comportano nelle condizioni più estreme: temperature alte, basse, con l’acqua, e così via. Tutto questo per scegliere la macchina che resiste di più. Questa fase dura più o meno un anno. A questo punto si passa all’acquisto di un numero considerevole del laptop prescelto, anche dieci mila pezzi, poiché, oltre a quelli presenti nella stazione spaziale, tutti coloro che lavorano dalla Terra devono essere allineati. Il problema è che, a quel punto, il fornitore ti presenta già il modello successivo, a detta sua più performante, perché quello che ha subito tutto il processo sopra è già superato. Il controllo sulla tecnologia non può essere lasciato al caso, l’affidabilità deve essere messa al primo posto. L’ultimo ritrovato tecnologico, se non testato, può uccidere. La tecnologia spaziale è molto conservativa: le navicelle Sojuz con cui andiamo nello spazio oggi non sono molto lontane da quelle che si usavano negli anni ’60. Sono estremamente affidabili, poco costose e si conoscono benissimo, e quindi perché cambiarle. Infatti, lo Shuttle era molto più complesso e performante ma è stato dismesso perché considerato poco sicuro: al suo posto, le navicelle Sojuz di cui da quarant’anni si conoscono perfettamente le reazioni nello spazio.
Il ruolo del Data Scientist nel suo settore.
Il Data Scientist è una figura che è sempre esistita; si tratta di uno statista più evoluto. Ci sono delle professioni ben inquadrate, come fisico, astrofisico, ecc. Il Data Scientist è invece in evoluzione, è un professionista che lavora nel mondo della ricerca. In Italia siamo un po’ indietro, non investiamo abbastanza per dare più opportunità alle Università da questo punto di vista. I nostri ricercatori purtroppo vanno all’estero e spesso ci rimangono, anche perché gli americani sono bravi a trattenerli. È una figura che nel nostro mondo ha una sua dimensione naturale, anche alla luce dei numerosi dati che siamo addestrati a carpire come raccontavo sopra.
ESA lancia il progetto “Funding & support of spacebased services for cyber security”. Qual è il legame tra lo spazio e la tanto nominata cyber security?
C’è un legame perché la Stazione Spaziale internazionale o un satellite in orbita non sono molto differenti da un bancomat, nel senso che se si riuscisse a intercettare il flusso di informazioni tra il bancomat e la banca, ci sarebbe una violazione. La stessa cosa potrebbe succedere nei satelliti se si riuscissero ad hackerare le informazioni tra il satellite e la stazione spaziale di Huston. L’ESA cerca di incrementare il livello di sicurezza e questo progetto parla chiaro: si chiede alle aziende sulla Terra che lavorano in questo settore di contribuire con la propria conoscenza a rendere più sicuro il pianeta. L’ESA ha diversi progetti in questo senso. L’alto livello di sicurezza, integrato alla mole di dati che viene trasmessa tra i vari hub spaziali, è tra le priorità dell’ESA. Il GPS americano, per esempio, che utilizza i dati di un satellite di navigazione americano è stato disegnato per scopi militari negli anni ’60-’70, e poi messo a disposizione di tutti. In realtà noi usufruiamo solo in parte di questa tecnologia, l’altra rimane segreta per ragioni militari. Quanto il GPS è attendibile? Non abbiamo una sicurezza totale se il satellite ha un’avaria e invia dati errati, noi non possiamo saperlo. Può immaginare il rischio che corre per esempio un aereo che basa il suo percorso sui dati del GPS. Ci sono dei seri problemi di controllo di qualità del segnale. Con l’introduzione del sistema europeo di navigazione satellitare Galileo questa difficoltà viene risolta, poichè è stato progettato con un algoritmo che controlla la validità dei dati del GPS. Un sistema decisamente più accurato del sistema americano GPS.