Nuove professioni e lavoratori autonomi

Nuove professioni e lavoratori autonomi

Quando parliamo di medicina del lavoro il primo pensiero va alle grandi fabbriche dove gli operai durante il loro turno di lavoro, generico o specializzato, manuale o di concetto, svolgono sempre le stesse operazioni, in catena di montaggio o meno, con un orario fisso, giornaliero o a turni, ma sempre lo stesso tutti i giorni.

Non è questo tuttavia lo scenario del quale si devono occupare gli operatori della prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro da diversi anni a questa parte, soprattutto in Italia. Il tessuto imprenditoriale è costituito, infatti solo in parte da grandi aziende, e per la maggioranza da realtà produttive medio piccole, di natura artigianale, nelle quali le mansioni svolte dai lavoratori richiedono la conoscenza di più procedure lavorative, quando non anche una certa capacità di autonomia decisionale o “creatività”. Queste aziende spesso, per necessità legate al processo produttivo, hanno bisogno di manodopera flessibile anche per brevi periodi e quindi ricorrono a prestatori d’opera, che vengono ingaggiati non come soggetti subordinati dipendenti ma come lavoratori autonomi a partita IVA o a prestazione occasionale.

Un’altra considerazione da fare è che normalmente si pensa al lavoro come “posto di lavoro” fisico, più o meno condiviso con altri colleghi. La rivoluzione tecnologica, che sta vivendo il mercato, ha portato invece a considerare forme di lavoro in cui il prestatore d’opera è da solo, in ambienti e con strutture e strumenti che sono molto diversi da quelli abitualmente considerati dalla medicina del lavoro tradizionale.

È pur vero che il progresso tecnologico dovrebbe comportare anche una riduzione dei rischi lavorativi, che non sempre ne è l’immediata conseguenza. D’altro canto, invece, potrebbero nascere altri rischi ad oggi ancora sconosciuti o in fase di studiocome, ad esempio, quelli legati ai prodotti nanotecnologici e agenti chimici, lo stress, le patologie muscolo scheletriche da postura o sovraccarico da uso di computer fissi o portatili, smartphone o altri PDA. Pensiamo che esiste il cosiddetto “pollice da Blackberry”, estendibile naturalmente a tutti gli altri smartphone, oppure la miopia da impegno visivo protratto e ravvicinato.

E oltre ai rischi legati allo svolgimento del proprio lavoro, un altro fattore di rischio, forse con dimensioni maggiori, è quello correlato proprio all’autonomia del lavoratore. Per il fatto di non lavorare da subordinato in una struttura fissa, dove più facilmente sono applicabili procedure standardizzate di prevenzione, il lavoratore autonomo rinuncia anche, volente o nolente, ad un controllo periodico e sistematico della propria salute mediante dei protocolli validati di sorveglianza sanitaria preventiva.

Pensiamo infatti a come spesso i lavoratori autonomi siano impiegati nei settori più a rischio: nei luoghi confinati o inquinati oppure con esposizione ad amianto o con uso di attrezzature speciali pericolose, nei cantieri temporanei e mobili in edilizia ma anche nel settore dello spettacolo, nei teatri, nei set cinematografici o negli allestimenti di fiere e mostre. Un altro settore, forse non pericoloso in senso stretto ma che può essere fonte di qualche problema di salute, è quello degli office e mobile workers, dei telesellers, dei call centers o simili, che utilizzano tablet, smartphone o Pc e che lavorano non all’interno dell’azienda ma prevalentemente, o esclusivamente, all’esterno e nei luoghi più disparati.
La definizione di lavoratore autonomo in campo civilistico deriva dall’art. 2222 del Codice Civile, mentre per quanto attiene alla prevenzione e alla sicurezza sul lavoro la definizione la troviamo all’art. 89 del Dlgs 81/08 detto anche Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro: “è la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione”.

Il Testo Unico ha innovato significativamente il ruolo del lavoratore autonomo perché, a differenza delle normative precedenti, ora è sottoposto ad alcuni precisi obblighi generali e speciali. Gli obblighi generali derivano dall’’art. 21 comma I del decreto legislativo, stabilendo che il lavoratore autonomo (o i componenti dell’impresa familiare) deve:
• utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III del TU;
• munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni succitate;
• dotarsi di apposita tessera di riconoscimento che deve contenere anche l’indicazione del committente.

Lo stesso articolo 21 prevede anche, con oneri a proprio carico, la facoltà, ma non l’obbligo, di effettuare le visite mediche di idoneità sanitaria e di partecipare a corsi di formazione specifica, tranne che le stesse non siano espressamente previste da disposizioni speciali, nel qual caso diventano obbligatorie. È il caso di lavori effettuati in ambienti confinati o sospetti di inquinamento (silos, caldaie, pozzetti fognari, etc,) per i quali il lavoratore autonomo deve essere specificamente formato e sottoposto a sorveglianza sanitaria (ex DPR 177/2011), così come per l’utilizzo di particolari attrezzature di lavoro (gru, piattaforme mobili elevabili, trattori agricoli o forestali, ecc.) per cui il lavoratore autonomo deve possedere una specifica formazione che il legislatore qualifica come vera e propria abilitazione.

Diverso infine è il caso in cui i lavoratori autonomi e le imprese familiari effettuino lavori in cantieri temporanei o mobili per cui sono obbligati ad esibire al committente o al responsabile dei lavori gli attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dall’allegato XVII del Testo Unico. Pertanto un committente, o un’impresa affidataria in caso di subappalto, è tenuto a verificare il possesso della documentazione di cui all’allegato XVII da parte del lavoratore autonomo ma non anche ad esigere l’esibizione degli attestati inerenti la propria formazione e l’idoneità sanitaria.

Di conseguenza, con un dualismo tipicamente italiano, appare legittimo sia l’affidamento di lavori al lavoratore autonomo in possesso di tale documentazione sia al lavoratore autonomo privo dei predetti requisiti. Ne consegue che i committenti e i coordinatori in fase di esecuzione, nell’ambito del loro potere-dovere di verificare l’idoneità tecnico professionale dei soggetti con contratto in essere di appalto o sub appalto, possono interdire l’accesso al cantiere ai lavoratori autonomi o imprese familiari che non abbiano prodotto la documentazione prevista.

Sarà quindi la legge di mercato a far si che un appaltatore si faccia carico della propria formazione specifica (corso di primo soccorso e prevenzione incendi, oltre ad eventuali corsi per l’utilizzo di attrezzature speciali) o si procuri l’idoneità alla mansione con la visita medica e si doti quindi della documentazione prevista, se ha interesse a lavorare per quel committente. Legge di mercato o buon senso, dal punto di vista di chi si occupa della salute e della sicurezza dei lavoratori certo è che formazione e idoneità sono oggi più che un dovere, un atto di civiltà e di rispetto verso la propria professionalità.