NBA, l’olimpo del basket non è un traguardo ma un inizio

NBA, l’olimpo del basket non è un traguardo ma un inizio

Tenace e determinato Luigi Datome, il nostro capitano, ci racconta il suo sogno diventato realtà. Ha toccato con mano l’olimpo del Basket ma lui dice che la cosa più importante è l’affetto delle persone che ti vogliono bene. Giocare con un robot per lui sarebbe un’esperienza curiosa.

Hai da poco terminato la stagione in America, cosa hai lasciato?
Ho lasciato, spero solo per l’estate, un paio di mesi finali a Boston in cui mi sono tolto piccole soddisfazioni e ho potuto dimostrare di poter far parte della Nba (la lega professionistica più importante degli Stati Uniti, se non del mondo). Un mondo da sogno, in cui tutto funziona alla perfezione e a cui ambiscono tutti i giocatori di basket. È stata dura dopo l’anno e mezzo a Detroit, sono stati giorni difficili, in cui facevo fatica a vedere il campo per scelte che tuttora non riesco a comprendere. Ma le ho accettate. Oggi mi sento diverso, perché ho dimostrato di poter stare in quel mondo dorato chiamato Nba e qualsiasi cosa accada adesso la prenderò con maggiore leggerezza, come del resto va presa la vita e lo sport.

Cosa hai ritrovato in Italia?
La mia famiglia, gli amici di sempre e la mia terra. Oltre, tantissimo affetto. Sarò banale, ma è la cosa che conta di più. Trovarli dopo un anno a migliaia di km di distanza ha un sapore particolare. Il calore della famiglia, l’abbraccio degli amici e un pranzo in riva al mare hanno sempre in me un effetto speciale. Perché mi riportano alle origini, fra gente che mi vuole bene e soprattutto nella mia terra, la Sardegna, alla quale sono molto legato.

Basket Italia vs Basket America, quali le differenze da un punto di vista culturale e di pensiero?
In America è concessa più libertà ad un giocatore: non ci sono lunghi ritiri, cene assieme. Manca il vissuto comune. Lì ognuno è libero di fare come vuole prima di una partita, si cena dove si vuole e ci si gestisce. Questo non vuol dire fare vita sregolata, perché il livello di professionismo è estremamente alto. In Italia una cosa del genere non avviene mai, si sta assieme ed è il club che pensa a scadenzarti gli orari. Questa è la differenza principale come cultura sportiva. Poi ovviamente tutto il contorno è diverso: in Nba la pallacanestro è un movimento che smuove quasi mille addetti ai lavori ogni partita. Numeri oggettivamente impensabili per noi. L’altra differenza è ovviamente il livello di fisicità: in America l’atletismo fa da padrone: difficilmente riescono a trovar spazio giocatori meno dotati fisicamente, a meno che non si tratti di un talento fuori dal comune. In Italia il livello di fisicità non è così spinto al limite e c’è ancora spazio per i giocatori “normali”.

Come è iniziata la tua carriera?
Nella palestra della Santa Croce Olbia, la società della mia famiglia. Dopo aver iniziato a camminare ci ho messo poco a prendere un pallone in mano. Era anche logico così, visto che ero sempre in palestra a guardare i più grandi. Poi ho iniziato col giocare, ho fatto tutta la trafila giovanile, abbiamo vinto uno scudetto pazzesco, sono andato a Siena, dove ho sofferto un po’ il fatto di avere poco spazio. E allora ho scelto Scafati dove sono cresciuto molto e poi la tappa fondamentale a Roma. Cinque stagioni importantissime per la mia crescita, l’ultima delle quali indimenticabile, con una finale scudetto raggiunta e un titolo da MVP del campionato che custodisco ancora gelosamente. Il resto lo sapete già.

Una carriera brillante, immaginavi a 10 anni che saresti arrivato così in alto?
No, era impossibile da immaginare, ma il mio sogno era giocare nella Nba. Avevo i poster dei campioni americani nella mia cameretta e sapere che adesso sto calcando lo stesso parquet mi riempie di felicità. Da un certo punto di vista è un sogno che si avvera, perché chiunque inizia a giocare a pallacanestro lo fa con il desiderio di arrivare nell’Olimpo del basket. Sono felice di avercela fatta, ma quando si arriva qua ci si rende conto che anche questo è solo un punto di partenza, perché è necessario lavorare quotidianamente e migliorarsi sempre per essere competitivo e performante in questa Lega.

In questo numero di Logyn parliamo di intelligenza artificiale, tutto va nella direzione di costruire un robot capace di imitare l’uomo in molte cose, immagina di dover giocare con un avversario robot come ti rapporteresti?
Dipende da come è stato programmato questo robot, ma sarebbe interessantissimo. È un argomento che mi incuriosisce, da ogni punto di vista. Il robot è programmato da noi uomini, quindi è capace di fare ciò che gli è stato “insegnato”. Certo è che nel tiro sarebbe imbattibile se sapesse calcolare in una frazione di secondo tutti i fattori che influiscono in quel movimento. Farebbe sempre canestro. Potrebbe essere diverso nell’armonia dei movimenti e nelle fasi di lettura del gioco, dove forse l’intelligenza umana riesce ancora a dare qualcosa in più rispetto a degli algoritmi! Ma è un tema, questo, che mi stimola davvero molta curiosità.

Quali sono le caratteristiche che hanno fatto scegliere al coach di nominarti capitano della nazionale di Basket?
Penso di essere un ragazzo che aiuta le dinamiche di gruppo e le favorisce, cercando a volte anche una mediazione. Anche a Roma è successo lo stesso. Siamo stati bravi a creare un gruppo vincente ed esserne stato capitano ha significato moltissimo per me. Poi in realtà in Nazionale è l’anzianità a livello di presenze che conta molto. Ma mi piace anche pensare che il mio apporto alle dinamiche di gruppo abbia dato un contributo importante.

Quali sono i tuoi progetti per la prossima stagione?
Sono aperto a vagliare ogni offerta. La mia priorità sarebbe giocare nella Nba in una squadra che possa farmi fare un ulteriore salto in avanti rispetto agli ultimi due mesi a Boston. Se fosse possibile farlo ancora nei Celtics sarebbe perfetto, ma in generale avere un’altra chance nella Nba potrebbe essere un’altra bella sfida. Ma non chiudo la porta a nessuno, anche se dovessero arrivare offerte interessanti dall’Europa. Aspettiamo e valutiamo.