MIGLIORARE L’OFFERTA IN ITALIA PER AIUTARE LE AZIENDE A INNOVARE
Il dibattito sul binomio innovazione e impresa è sempre più aperto: l’innovazione non è più solo un valore aggiunto per l’implementazione del business, bensì un’imprescindibile necessità. Assieme al professor Fuggetta analizziamo la situazione italiana.
Innovazione e business? Com’è la situazione in Italia? C’è paura?
Nel Paese convivono situazioni differenti: ci sono aziende che stanno investendo consistentemente in innovazione, anche perché operanti in mercati internazionali. E nel contempo ce ne sono altre – spesso legate al mercato nazionale – che investono troppo poco. La discriminante è il mercato: chi lavora su una piazza internazionale, se si muove bene, non solo vede dei buoni ritorni economici, ma riceve anche importanti stimoli di sviluppo. Al contrario le aziende che si rivolgono in prevalenza al mercato nazionale patiscono perché la domanda interna attualmente è bassa, e ricevono meno pressioni sul fronte della competitività.
L’ICT soprattutto in questi anni sta diventando, quindi, leva di business e crescita economica?
Per gli imprenditori innovare è vitale, altrimenti la competitività si riduce pesantemente. Anche esaminando le numerose statistiche a disposizione sembra ormai consolidato il fatto che l’investimento in IT e ICT guidi lo sviluppo e si trasformi in crescita. Eppure, attualmente questo fattore non è compreso da tutte le aziende italiane nè trasformato in practices. Ancora troppe imprese del Paese o non hanno capito o non hanno ben digerito la necessità di investire in innovazione. È una questione “culturale”, ma a volte dipende da fattori strutturali: le piccole imprese familiari, di natura non informatica o tecnologica, piuttosto legate al made in Italy, fanno fatica a organizzarsi. Altro problema è la debolezza dell’offerta interna. C’è un modo di dire negli Stati Uniti secondo il quale: “ogni azienda dovrebbe fare training del customer”, ovvero aiutare il cliente a “comprare” meglio. Cioè l’offerta deve avere un ruolo attivo che aiuta la domanda a svilupparsi.
Politicamente e istituzionalmente c’è supporto alle aziende che vogliono investire in innovazione?
Porto un esempio che testimonia la realtà italiana: gli incentivi legati agli ultimi provvedimenti legislativi varati dal Governo sembrano essere destinati solo per l’acquisto di macchinari. Ma per l’ICT non serve investire in macchinari o in conto capitale, piuttosto in consulenza, formazione, sviluppo software. In Italia si presta sempre più attenzione a quegli aspetti tradizionali dell’industria, perché individuabili e controllabili: capannoni, macchinari, attrezzature. Altrimenti, si procede per tamponare le emergenze: per far fronte all’attuale crisi del “bianco” sono stati predisposti incentivi per l’acquisto di lavatrici e frigoriferi. Siamo ancora vincolati alle logiche del “ciò che vedo” e dell’emergenza del momento, che difficilmente vengono innescate dal settore dell’ICT. Anni fa si parlò di un provvedimento a sostegno come il credito d’imposta per la ricerca e l’innovazione: ossia l’azienda che deve fare innovazione usufruisce di un credito d’imposta, risparmiando in tasse, relativamente agli investimenti interni o per i contratti affidati ai centri di ricerca. Questo procedimento non solo sostiene l’impresa, ma nel contempo stimola anche l’offerta di servizi innovativi. Alla fine, dopo tanto parlare, si è scelto di non fare niente. Siamo di fronte a una visione da old economy.