L’ITALIA CULTURALE CHE INTERNAZIONALIZZA

L’ITALIA CULTURALE CHE INTERNAZIONALIZZA

Numerose sedi in tutto il mondo – una in Cina di prossima apertura – studenti internazionali provenienti da quasi 100 Paesi, IED nasce nel 1966 grazie a Francesco Morelli. Oggi è un’eccellenza internazionale di matrice italiana, che opera nel campo della formazione e della ricerca, nelle discipline del Design, della Moda, delle Arti Visive e della Comunicazione. È Carlo Forcolini – direttore scientifico Gruppo IED – a descrivere il “sistema” IED.

Lo IED è riconosciuto nel mondo come scuola d’eccellenza…
L’Istituto ha mezzo secolo di storia, ma è in costante evoluzione. All’origine del suo successo l’idea che il “sapere” e il “saper fare” devono crescere insieme, nel rispetto delle logiche del mercato e dei principi della formazione di alto livello. Negli anni questo sistema è stato ripreso anche da altre realtà universitarie italiane, anche se un po’ a fatica… Quindi, i docenti sono tutti professionisti operanti nel privato e aggiornati costantemente sugli sviluppi del mercato di riferimento. Inoltre, fin dalla sua costituzione, IED lavora a stretto contatto con le imprese, già a partire dal triennio… attraverso workshop, stage aziendali, e altri tipi di collaborazione e progetti. Sono 200 le industrie con cui collaboriamo ogni anno a livello nazionale e internazionale fra grandi gruppi e piccole aziende.

L’Istituto nasce come scuola di design diversamente declinato: dal prodotto, alla grafica, ai servizi, quindi la moda e la comunicazione in generale – da alcuni anni anche quella digitale.
Inoltre, abbiamo una serie di attività mirate alle aziende, come i corsi annuali di formazione al personale ex cathedra, o via internet. La didattica è articolata: il cuore centrale sono i corsi triennali (che rilasciano Diplomi di I livello), a seguire Master e Corsi di specializzazione e aggiornamento. Si tratta di un modello pragmatico vicino a quello americano. Infatti, oltre il 90% dei nostri studenti neo diplomati dai corsi triennali viene inserito immediatamente all’interno delle aziende, anche grazie al servizio Stage & Partnership che offriamo. È una dimensione universitaria fino a qualche anno fa piuttosto sconosciuta nel nostro Paese. Il design è una disciplina teorica, ma soprattutto pragmatica e laboratoriale.

Tant’è che esiste una forma di talent management per identificare studenti capaci…
Ogni anno IED attiva concorsi di merito con i quali seleziona, premia e valorizza il talento creativo delle nuove generazioni di designer, sostenendone la formazione attraverso borse di studio per i Corsi Triennali e Master nelle varie sedi italiane ed estere. Sul sito creativecontexts.com si possono trovare tutte le informazioni. Accanto a queste iniziative, segnalo la borsa di studio a copertura totale per il corso triennale di Fashion Design presso IED Milano assegnata da Condé Nast America ad un nostro studente, selezionato per la categoria Moda Donna. Il progetto è il risultato di una partnership avviata a luglio tra Condé Nast America e cinque tra le più importanti scuole e università Italiane, tra cui IED, con l’obiettivo di dare avvio a un programma di borse di studio per supportare la futura generazione di artisti italiani.

E per il futuro prossimo…
Una maggiore internazionalizzazione del gruppo perché con il forte calo demografico in Europa il futuro sta nei Paesi emergenti. E quindi, la nostra strategia va verso quelle nazioni, senza dimenticare l’Italia in cui abbiamo 6 sedi… ma anche Sudamerica e Cina – dove stiamo aprendo una nostra struttura. La nostra strategia è sicuramente quella di portare il design italiano nel mondo e siamo l’unico gruppo italiano di proprietà italiana che fa questo lavoro. Infatti, negli ultimi anni c’è stato uno “shopping” di scuole italiane, che ora fanno parte di fondi di investimento americani.

IED negli anni ha investito molto per attrarre giovani da altri Paesi.
Il 47% dei nostri studenti in Italia sono stranieri provenienti da circa 100 Paesi. In generale nel nostro network abbiamo 11mila studenti, di questi circa 3mila sono solo in Italia. Anche se fino a due anni fa, quando siamo stati riconosciuti dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), abbiamo avuto anche problemi burocratici per fare entrare studenti stranieri non essendo ancora riconosciuti come ateneo. I ragazzi non potevano entrare in Italia se non attraverso il coinvolgimento dell’ambasciata.

La ricerca come sorgente continua di pragmatica applicazione…
Per fare un esempio, in previsione di Expo stiamo portando avanti un progetto denominato “Ingegno Italia” che si propone, attraverso il coinvolgimento di enti pubblici e privati, di mappare il profilo del nuovo “made in Italy”, ovvero le realtà peculiari presenti sui territori. Perché una grande carenza che abbiamo è la non conoscenza delle realtà e delle eccellenze. Questa iniziativa l’abbiamo avviata assieme alla associazione Symbola, che da alcuni anni porta avanti questo tipo di attività ma non in modo sistematico. È un progetto inclusivo che va portato avanti sui territori facendo rete per il bene del Paese – racconta Carlo Forcolini che quando va all’estero spesso nota come manifestazioni ed eventi italiani siano sempre ricollegabili in maniera nostalgica alla cultura della “vecchia Italia”, una cultura forte ma ancorata al passato – il nuovo non viene altrettanto promosso.

L’università nazionale attuale sta vivendo una fase di ripensamento dei propri modelli…
In effetti in Italia ci sono ancora delle scorie ideologiche che sono drammatiche, che fanno del privato una realtà lontana e tremenda… noi siamo un ente privato, riconosciuto dalla Costituzione ma che non può avere alcun finanziamento pubblico. Quindi, da quasi 50 anni lottiamo per stare sul mercato. L’università italiana non ha mai avuto questo problema, perché gode di finanziamenti pubblici. Nel Paese spendiamo soldi negli atenei per ricerche che alla prova dei fatti servono solo ai docenti per ottenere il punteggio per andare avanti nella loro carriera personale, senza valutare le ricadute concrete. L’università italiana soffre di irrazionalità ideologica. Al contrario dovrebbe pensare che esiste per creare opportunità nel Paese, e per i cittadini, per trovare lavoro, per creare imprenditoria, etc. Anche se spesso sentiamo di personaggi di grande qualità, che fanno grandi cose malgrado il sistema, ma solo perché hanno intelligenza e passione. Il Paese deve rendersi conto che per galleggiare nel mercato globale deve essere competitivo: questo riguarda anche le strutture pubbliche dello Stato, senza perdere di vista il fatto che la nostra cifra culturale è anche il nostro legame con la storia, e questo legame va vissuto positivamente. Il problema attuale del Paese è che, da una parte la qualità è insita nel DNA e nell’educazione italiana, dall’altra si nota, di contro, come in certe strutture non ci sia una ricerca di standard qualitativamente elevati.

Quindi, le università italiane sono in grado di far uscire studenti con skill specifiche…
Dipende dal tipo di formazione che si dà: si dovrebbe insegnare che il sapere è qualcosa che serve al collettivo, e non è soltanto qualcosa che afferisce alla persona. Altrimenti è normale che poi ci siano grandi problemi di inserimento. Noi in Italia siamo andati avanti pensando che con la Laurea, il così detto “pezzo di carta”, si riuscisse poi a far qualcosa… È con il sapere, ma anche con la conoscenza del contesto sociale in cui si opera e vive, che si può migliorare. Nell’università italiana spesso non c’è questa cultura, e quando avviene è per iniziativa privata dei singoli, non del sistema.

Università e impresa: esiste ancora un gap?
Ci tengo a portare un esempio pratico per rispondere a questa domanda. Questa mattina parlando con i rappresentanti di Confindustria Como abbiamo discusso della problematicità della formazione sul territorio. Perché negli anni si è sviluppata la filiera del tessile di alta qualità, grazie anche a scuole tecniche innovatrici e specializzate, che nel tempo sono state però marginalizzate a seguito della promozione delle università. Ora le aziende per avere lavoratori specializzati di settore spesso devono assumere stranieri. Questa è la dimensione del declino di un Paese che non ha rinnovato le sue strutture rispetto a come si stava sviluppando il resto del mondo. Siamo la nazione che ha il minor numero di laureati nella UE, ma abbiamo anche un problema di assenza di tecnici.

Il problema italiano…
Spesso è nella classe dirigente che prende decisioni miopi per tamponare l’emergenza e non pensa ad un futuro meno prossimo… Eppure esempi straordinari ne abbiamo: in termini quantitativi abbiamo diminuito l’export, ma in valore lo abbiamo aumentato malgrado la crisi. Vuol dire che c’è un pezzo d’Italia che ormai non funziona più e c’è un altro pezzo che ormai supplisce a quello.

Infine, l’innovazione passa ancora rigorosamente dall’università…
Dipende anche dagli ambiti. Ci sono delle eccellenze come il Politecnico di Milano che ha un dipartimento di nanotecnologia molto avanzato. Il problema vero è che, quando i ricercatori completano le analisi, è molto facile che poi vadano a realizzare l’applicazione pratica dei propri studi fuori dall’Italia, perché fuori c’è il contesto applicativo che spesso manca qua. Spesso le ricerche eseguite qui, vengono tesaurizzate altrove.