L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE: SCELTA O NECESSITÀ?
L’internazionalizzazione è un fenomeno ormai consolidato e ampiamente discusso che coinvolge le principali economie mondiali. Dall’antichità ad oggi l’esigenza di scambi commerciali tra popoli ha caratterizzato l’economia delle civiltà ma, di internazionalizzazione in senso moderno, si inizia a parlare solo verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Oggi la discussione su questo tema non può più essere rimandata nell’ottica di un piano di intervento a favore della ripresa economica nazionale.
Con il termine internazionalizzazione si intende genericamente un “processo di apertura verso l’estero da parte di unità economiche nazionali” (Enciclopedia dell’economia Garzanti, Garzanti, Milano 1992). Il processo di internazionalizzazione può riguardare l’economia, un dato settore o ancora più nello specifico le singole imprese. L’internazionalizzazione dell’economia riguarda solitamente l’interazione tra sistemi economici nazionali, che da “chiusi” diventano “aperti” e collegati tra loro. In questo caso l’aspetto più noto attiene ai mercati finanziari e alla possibilità di muovere i capitali tra paesi diversi. L’internazionalizzazione del settore avviene quando tutte le imprese di un settore sono internazionalizzate, quando cioè il fenomeno da individuale diviene collettivo. Un settore è “internazionalizzato” anche se l’impresa non ha interessi all’estero, ma vi sono concorrenti esteri sul suo mercato nazionale.
Dal punto di vista della singola impresa, l’internazionalizzazione avviene quando sono svolte delle operazioni con l’estero. Le operazioni possono essere di natura commerciale (esportazione di beni e servizi), produttiva (unità produttive costituite per investimento diretto estero), o in “nuove forme” (franchising, licensing, joint venture, ecc).
Oggigiorno il tema dell’internazionalizzazione delle imprese è fondamentale soprattutto per la ripresa economica italiana. Dai recenti dati della Banca d’Italia emerge chiaramente che la presenza imprenditoriale italiana all’estero è considerevole: nel 2011 (ultimo dato disponibile) il 18,7% delle imprese industriali e l’8,3% delle aziende dei servizi privati, ambedue con oltre 20 dipendenti, avevano compiuto investimenti oltre confine. Mentre nel 2004 erano rispettivamente il 13,4% e il 4,8%. Oggi più di due terzi delle imprese manifatturiere italiane con oltre 500 addetti hanno stabilimenti all’estero, mentre è poca la diffusione tra le aziende con 29 – 40 addetti.
I dati, inoltre, rilevano la capacità delle imprese italiane di intercettare la domanda estera e di consolidare la propria posizione sui mercati anche per contrastare gli effetti della crisi: risultano in crescita, ad esempio, le imprese internazionalizzate che si espandono nei paesi in via di sviluppo (dal 36,7% del 2009 al 41,6% del 2011).
Eppure, confrontando questo focus con i Paesi europei si nota un grave ritardo dell’Italia: i dati sugli investimenti in uscita vedono il nostro Paese a quota 25,9% del PIL contro il 53,9% della Francia e il 45,6% della Germania.
Un’ultima riflessione è quindi dovuta: ancora oggi nel Paese ci sono due velocità: ci sono imprese chi innovano, esportano e investono all’estero, al contrario ce ne sono altre che ancora non riescono a stare dietro alle nuove tecnologie e non accedono – per mancanza di volontà o perché non adeguatamente attrezzate – ai mercati oltre confine.