L’evoluzione del diritto nel mondo digitale

L’evoluzione del diritto nel mondo digitale

Una recente sentenza del Tribunale di Milano – intervenuta su un caso molto discusso a livello di media nazionali – permette di effettuare alcune prime riflessioni in ordine alla responsabilità dei gestori di siti internet.

Il caso, deciso dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano, traeva origine dalla pubblicazione di un video dal contenuto offensivo sull’apposito portale di Google in cui compariva “un ragazzo presumibilmente down, in un ambiente scolastico, che veniva schernito e deriso da un gruppo di ragazzi”. Le indagini avevano evidenziato profili di responsabilità penale anche a carico dei responsabili del sito in quanto si trattava di un filmato che era circolato sul web tramite Google video, conquistando la prima posizione nella categoria “video più divertenti” ed era addirittura finito nella classifica ufficiale dei video più scaricati. Ai vertici di Google veniva contestato:
A. il concorso nel reato di diffamazione aggravata commessa mediante la diffusione del video a mezzo internet senza aver esercitato alcun controllo preventivo sul suo contenuto;
B. la violazione degli articoli del Decreto Legge 30.06.2003 n. 196 (tutela privacy) perchè avevano trattato dei dati personali in violazione di quanto previsto in tale decreto con nocumento della persona interessata.

Il Tribunale di Milano (pronunciatosi in primo grado) aveva messo in evidenza le istanze confliggenti sottese alla vicenda: da un lato la necessità di escludere la possibilità di configurare un generico ed inesigibile obbligo di controllo preventivo sul contenuto dei video pubblicati ogni giorno dalla rete, dall’altro i possibili vuoti di tutela derivanti dalle Istituzioni e una sorta di “immunità sostanziale” per i soggetti responsabili del servizio di pubblicazione e divulgazione online, pur a fronte dell’avvenuta commissione determinante fattispecie di reato. La necessità di trovare una composizione aveva portato ad una sentenza che, nei confronti degli apicali di Google, per un verso aveva escluso il reato di diffamazione, per un altro aveva ritenuto sussistente la responsabilità penale per illecito trattamento dei dati personali.

Il Tribunale aveva affermato che, mancando una precisa legislazione in materia, la responsabilità penale degli internet service provider (ISP) non poteva essere costruita al di là dei canoni dell’attuale quadro normativo. Il Giudice affermava, testualmente, che si sentiva l’esigenza di una buona legge sull’argomento “in quanto Internet è un formabile strumento di libera comunicazione, ma ogni esercizio collegato alla libertà non può essere assoluto”. La Corte d’Appello ha condiviso, ed in parte rafforzato, le motivazioni che hanno portato a ritenere l’insussistenza del reato di diffamazione e, inoltre, ha ritenuto di dover assolvere gli imputati anche dall’accusa di violazione degli obblighi di trattamento dei dati.

Quanto alla diffamazione la Corte, oltre a condividere quanto espresso dal Tribunale, aggiunge alcune considerazioni:
1. che per sostenere le responsabilità a titolo di omissione in capo ad un hosting provider (un servizio di rete che consiste nell’allocare su un server web le pagine di un sito, rendendolo così accessibile dalla rete internet ai suoi utenti) o content provider (è non solo chi fornisce contenuti a siti e portali, ad esempio servizi di news, newsletter o quant’altro – cioè case editoriali online – ma anche il fornitore del software necessario per erogare i servizi di contenuto) occorre affermare a suo carico un obbligo giuridico di impedire l’evento e, quindi, da un lato l’esistenza di una posizione di garanzia, dall’altro la concreta possibilità di effettuare un controllo preventivo. Detta posizione di garanzia non può essere ravvisata nel diritto vigente, stante l’assenza di una specifica previsione in tal senso, nè può desumersi da fonte diversa quale, ad esempio, quella dettata in maniera di stampa in quanto si tratterebbe di una analogia in mala partem;
2. che la presenza di una posizione di garanzia da cui far derivare un obbligo di attivazione non può essere fatta derivare dalla violazione di norme di legge quali quella a protezione dei dati personali, che non hanno per oggetto tali condotte e che sono emanate a coperture di comportamenti diversi da quelli oggetto di contestazione;
3. che, in materia di concorso di persone, la condotta consistente nel non impedire l’evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, deve essere accompagnata dal dolo che caratterizza il concorso stesso, da ravvisarsi nella coscienza e volontà di concorre con altri nella realizzazione del reato.

Quanto alla responsabilità scaturente dal trattamento dei dati personali la Corte afferma testualmente che “l’evoluzione della rete informatica mondiale sembra aver superato nei fatti la figura di mero prestatore di servizio che delineava tale soggetto come del tutto estraneo rispetto alle informazioni memorizzate, sia a livello di gestione che di regolamentazione contrattuale con il destinatario del servizio”. La Corte individua in Google una categoria denominata “hosting attivo”: cioè prestatore di servizi non neutro rispetto all’organizzazione e alla gestione dei contenuti degli utenti, caratterizzato anche dalla possibilità di un sostegno economico attraverso le inserzioni pubblicitarie.

Individuata in tal modo la posizione di Google, però, la Corte afferma che anche per prestazioni di servizi che forniscano un hosting attivo la possibilità di procedere ad un’efficace verifica preventiva di tutto il materiale immesso dagli utenti non è concepibile. Infatti tale comportamento non può essere ritenuto doveroso, in quanto non esigibile per la complessità tecnica di un controllo automatico e, comunque, demandare ad un internet provider un “dovere-potere” di verifica preventiva appare una scelta da valutare con particolare attenzione in quanto potrebbe finire per collidere contro forme di libera manifestazione del pensiero.

È evidente che la materia è destinata ad ulteriori ed incisivi interventi da parte degli operatori del diritto. Non resta, a questo punto, che una considerazione e cioè come, certe volte, sia estremamente difficile per gli operatori del diritto conciliare diverse esigenze: da un lato evitare la impunità preventiva ed assoluta per i responsabili di un servizio, dall’altra evitare comportamenti che possono essere considerati una inammissibile censura preventiva.

Studio Legale Nordio-Manuel