Le Red Panthers: sfida e coraggio in campo

“Non arrenderti mai perché quando pensi che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio” E poi… “Aiutare ed essere aiutati, vincere e perdere, disperare e festeggiare, soffrire e gioire insieme… il rugby è vita!”, questa è la citazione che si legge nella pagina Facebook delle Red Panthers e che ben esemplifica la forza e i valori della squadra femminile di rugby. Nate nel 1982, le pantere trevigiane dal 1985 al 2003 hanno vinto 19 campionati italiani consecutivi (11 ufficiali), e vantano in totale 23 titoli.

Il capitano Giovanna Bado

Cosa significa essere una Red Panther?

Essere una Red Panthers significa far parte di una famiglia in continua espansione e cambiamento, sia in campo che fuori; una famiglia in cui ci si aiuta e si litiga, ci si strige nelle difficoltà e nei momenti di gioia. Quindi, è uno stile di vita, un insegnamento che ho ricevuto e che vorrei trasmettere, è il motivo dei successi passati e speriamo dei progressi futuri: una Pantera non si accontenta mai, l’obbiettivo è oltre l’obbiettivo, bisogna sempre superare se stessi e ricercare soluzioni per migliorare.

Com’è nata la tua passione per il rugby?

Durante una festa al parco a cui ho accompagnato mio fratello. Lì una bambina stava giocando con il padre lanciandosi la palla ovale e la cosa mi ha incuriosito. Il settembre successivo ho iniziato gli allenamenti, è stato un colpo di fulmine: ho trovato il mio “habitat naturale”.

La gara che ricordi con più piacere, orgoglio, nostalgia?

In realtà sono molte perché ho avuto la fortuna di vestire la maglia azzurra sia nel 7’ che nel rugby a 15, e ad ogni inno è stata una forte emozione. Con nostalgia ricordo la partita a Londra contro la nazionale Inglese nel primo Six Nations disputato dall’Italia nel 2007, allo stadio di Twickenham, avrei voluto che l’arbitro non fischiasse mai la fine. Ma senza dubbio la gara che ricordo con più piacere e onore è la finale scudetto del 2006 disputata a Pordenone in cui siamo riuscite a riprenderci il titolo. Fu il mio primo anno completo da n° 8 giocando affianco a mia sorella Alice e in cui ho vinto il premio “women of the match”.

Credi che il rugby femminile abbia poco spazio e rinomanza in Italia?

In Italia purtroppo tutti gli sport minori, e per di più femminili, hanno poco spazio e visibilità. A discapito del rugby femminile, ci sono preconcetti radicati e poca cultura sportiva in generale. Il rugby è visto come uno sport violento e poco femminile. In realtà è uno sport di contatto, e tra contatto e violenza vi è un’ovvia differenza. Per quanto riguarda la femminilità… essere una rugbysta non preclude dall’essere donna!

Il ruolo da capitano: pro e contro.

Capitano, una parola con un peso enorme. Ho sempre sognato di ricoprire questo ruolo e mai avrei creduto fosse così difficile. Un onore immenso avere la fiducia delle compagne che mi hanno scelto: è, però, una responsabilità nei loro confronti. La cosa più difficile è essere sempre al “massimo” e riuscire a trovare il modo di caricare il gruppo.

Negli ultimi dieci anni avete avuto una sfida costante con le ragazze del Riviera sul Brenta, come vivete queste importanti partite?

Una sfida infinita… la “viviamo” ancora in maniera molto differente. Loro sono un gruppo consolidato, non sono in molte ma giocano assieme da parecchi anni. Noi siamo una squadra molto più eterogenea, da un lato molte giovani che non hanno ancora nè esperienza nè ruolo preciso, dall’altro vi sono ragazze che giocano da molti anni e vivono la sfida in maniera quasi “personale”. Siamo un gruppo numeroso con un’età media molto bassa ed un buon settore giovanile.

Cosa consiglieresti alle giovani ragazze che si avvicinano a questo sport?

Provate! Vi dicono che è uno sport da “zucconi”? È in realtà la disciplina sportiva con più regole e varianti al mondo. Fare sport aiuta ad organizzarsi e a distendere le tensioni della giornata, per poter essere più produttivi poi. Vi dicono che non è adatto a voi? Perché farsi condizionare, gioco a rugby perché mi piace e perché mi diverto. Vi dicono che siete troppo esili? Io peso 60 kg, molte delle mie compagne lo stesso, chi addirittura 43, bisogna iniziare e mettersi alla prova! Vi dicono che è pericoloso? Il rischio di infortunarsi c’è, assicuro che quello che il rugby riesce a “dare” supera qualsiasi infortunio.

Il presidente Amerino Zatta

Il rugby femminile in Italia: ci fa il punto della situazione ad oggi?

Il rugby femminile in Italia non è molto diffuso, soprattutto perché è considerato uno sport tendenzialmente maschile, e le ragazze che si avvicinano a questa disciplina devono essere molto motivate a fronte di una selezione abbastanza dura. Oggi il rugby femminile esiste nel Paese e, poco alla volta, si sta allargando grazie a società sportive come la Benetton e altre ancora che si stanno facendo strada tra le difficoltà. E credo che per il futuro questo sport possa dare sempre più soddisfazioni. Il Veneto è una regione dove la realtà fisica e il dna delle persone ha fatto sì che il rugby, e i valori che sottende, si consolidassero. È un tipo di sport che o senti o non senti, perché trasmette valori che possono trovare terreno fertile sin dall’infanzia: il forte spirito di squadra, il grande rispetto dell’avversario, ma anche dell’arbitro e delle regole. Con l’entrata nel professionismo questi valori sono rimasti, nonostante siano comparse anche altre componenti legate all’aspetto economico.

Ci racconta qualcosa della società? Siete attivi dall’82 e vantate ben 23 titoli complessivi, di cui 19 campionati italiani consecutivi vinti tra l’85 e il 2003, un bel record direi: quali sono i valori che vi hanno accompagnato in queste vittorie?

Il club fu fondato nel 1932 come Associazione Sportiva Rugby Treviso, quattro anni dopo l’istituzione del primo campionato italiano. Ci giocavano prevalentemente medici e infermieri inglesi di stanza in Veneto. I vari sponsor furono la Faema, l’Ignis, Metalcrom e quindi Benetton nel 1978. Nel 1982 fu inaugurata una vasta area di più di 200.000 metri quadri, “La Ghirada”, situata nell’immediata periferia di Treviso: una “città dello sport” e sede sociale della Benetton Rugby. In questo percorso è nato anche il rugby femminile, da un embrione esistente, che solo nel 1982 ha preso una certa identità. Quest’anno le Red Panthers hanno compiuto 19 anni di campionati vinti. La volontà di queste ragazze è forte, e permette loro di raggiungere sempre gli obiettivi.

Siete una società ben consolidata, avete programmi futuri per le ragazze?

Questi sono anni difficili perché le sponsorizzazioni cominciano ad essere sempre meno importanti e oggetto di tagli. Noi cerchiamo di sopravvivere e non c’è nessuna intenzione di ridurre la nostra attività.

La tecnologia ha un ruolo nello sviluppo e nella crescita del Rugby? In che modo contribuisce?

La tecnologia sta aiutando tantissimo gli atleti in questa disciplina, ma anche le società e gli arbitri stessi per mantenere il controllo, verificare le azioni e i punteggi.

Il suo ricordo più bello legato alle Red Panthers

Ricordo un campionato che hanno vinto alcuni anni fa a Mantova. Ero presente e loro non se lo aspettavano. Hanno giocato in un clima avverso perché erano fuori casa ed erano date come perdenti, invece sono riuscite a capovolgere il risultato con una forte determinazione. È stata una bellissima emozione, soprattutto guardare con che carica, volontà e passione sono state in grado di rovesciare i risultati dati per certi. Sono sempre stato molto orgoglioso della squadra.