L’approccio etico al lavoro

L’approccio etico al lavoro

La congiuntura economica ha prodotto un profondo sfruttamento delle casse dell’INPS e l’Istituto oggi ha evidenti problemi nell’erogazione massiva di prestazioni a sostegno del reddito. Il problema di cassa non può essere risolto in carenza di risorse finanziarie, ma può essere attenuato nei suoi effetti da un’etica gestione delle risorse da parte di lavoratori e imprese.

La pratica di questi anni ci fa affrontare il tema della disoccupazione in modo diretto, senza mezze misure. Oltre ai dati statistici, che disegnano un percorso occupazionale tortuoso e dissestato, l’esperienza sul campo ci permette di affrontare il problema da un osservatorio privilegiato. Ecco quindi emergere esperienze sconfortanti che vengono descritte da lavoratori ed imprenditori, i quali affiancano la continua ed infruttuosa ricerca di un lavoro al possibile rifiuto di un impiego che non soddisfa le aspettative del disoccupato. A questo si aggiungano situazioni limite dove, come capitato in una trattativa del nostro studio, in un’azienda fallita molti lavoratori hanno preferito la cassa integrazione con successiva mobilità rispetto alla possibile assunzione presso un acquirente che offriva il medesimo lavoro svolto in precedenza ad una retribuzione contrattuale, chiedendo pertanto di rinunciare ai miglioramenti retributivi acquisiti negli anni.

Ma a parità di reddito chi sceglierebbe di lavorare, in alternativa alla percezione di un’indennità sicura per 2-3 o 4 anni, senza fornire prestazione alcuna? Non è certo un fenomeno generalizzato, ma l’esperienza sul campo ci fa capire che non è nemmeno un caso isolato. Il problema sta proprio nella struttura dei nostri ammortizzatori destinata ab origine a non stimolare la ricollocazione, considerata l’assenza di politiche attive e di proposte atte a rendere produttivo il periodo indennizzato.

In realtà il comma co. 41,art. 4, della Legge 92/2012, dispone la decadenza dagli indennizzi a sostegno del reddito quando il lavoratore non accetti un’offerta di un lavoro ad un livello retributivo superiore almeno del 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità cui ha diritto. Inoltre l’art. 9 della L. 223/1991 dispone la cancellazione del lavoratore dalle liste di mobilità, qualora lo stesso non accetti l’offerta di un lavoro che sia professionalmente equivalente ovvero, in mancanza di questo, che presenti omogeneità anche intercategoriale e che, avendo riguardo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, corrisponda ad un livello retributivo non inferiore del 10% rispetto a quello delle mansioni di provenienza. Gli strumenti quindi esisterebbero per evitare situazioni poco edificanti come quella descritta, ma quante aziende comunicano il rifiuto al lavoro ricevuto da un colloquio? L’omertà assiste situazioni simili all’esempio riportato e non qualifica certo come etico il comportamento del lavoratore.

Confucio disse: “se la soluzione esiste perché ti preoccupi? Se la soluzione non esiste, perché ti preoccupi?”. Verrebbe da calare il filosofo nell’attuale situazione italiana, ove gli strumenti risolutivi esistono ma non sono utilizzabili, e la preoccupazione permane anche in presenza della possibile soluzione. Solo le agenzie di somministrazione sono espressamente obbligate a comunicare all’INPS e, per i lavoratori in mobilità, al servizio per l’impiego territorialmente competente i nominativi dei soggetti che rifiutano un’offerta congrua di lavoro. Dunque l’azienda disposta a diffondere gli esiti dei propri colloqui si comporterebbe sicuramente in modo etico, agevolando l’efficacia degli strumenti che la Legge già offre.
L’etica non deve intendersi finalizzata a punire il lavoratore, bensì a permettere un maggiore controllo sulle indennità erogate ed un eventuale recupero di preziosissime somme indebitamente corrisposte a soggetti che optano per una soluzione di comodo. In un periodo di crisi per tutti, il comodo non pare essere la soluzione più etica.