La trasformazione digitale

La trasformazione digitale

L’Italia, un pachiderma

Tutti concordi che bisogna attrezzarsi digitalmente per crescere e che il Governo va lento, ma intanto molte sono le aziende che si adeguano e nascono in questa nuova era. Il cliente si è evoluto, è più complesso e va studiato nelle numerose piattaforme presenti sul web: dai social network ai blog, questi i luoghi in cui avvengono le conversazioni. È qui che emergono i nuovi bisogni del prospect, che il marketing non può ignorare.

Siamo pronti per la trasformazione digitale? Sembra che l’Italia si stia muovendo come un pachiderma. È eloquente ciò che è emerso in occasione della presentazione dell’Osservatorio delle Competenze Digitali 2015 al Miur, che ha avuto al centro della riflessione il tema della cultura digitale e il suo ruolo nell’ecosistema italiano. Il settore cresce ed entro il 2020 mancherà all’appello oltre un milione di professionisti.

In questo numero abbiamo voluto capire come le aziende si stanno muovendo in piena trasformazione digitale. L’utente risulta essere il soggetto privilegiato, perché è lui il prospect, il futuro cliente e quello che contribuisce a far crescere la new economy. Per questo c’è chi studia i comportamenti dell’utente sul web, per proporre un servizio in linea con l’esperienza che il cliente è abituato a fare online anche in altri ambiti. E sempre per lo stesso motivo è più facile trovare una banca che offra i propri servizi web con un’interfaccia ispirata a Facebook. Il tutto studiato per mettere a proprio agio il cliente e soddisfare le sue esigenze.

La digitalizzazione dei processi operativi in alcune multiutility ha reso immediatamente disponibili i dati necessari a compiere una determinata operazione, con un risparmio di tempo e carta. Ad esempio, un sistema di workforce management viene usato per supportare le attività di manutenzione e pronto intervento di reti e impianti acqua, gas ed energia: gli addetti operativi sul territorio utilizzano in gran parte palmari, tablet e pc portatili per ricevere i dettagli delle attività da eseguire, per consultare le banche dati (cartografia, procedure, ecc.) e per rendicontare il lavoro svolto.

Amazon ed Airbnb sono un altro esempio lampante delle conseguenze della new economy che ha reso più efficienti i mercati, andando oltre i tradizionali confini nazionali, con un processo di globalizzazione finanziaria e culturale del mondo. Dal punto di vista del lavoro è emersa la necessità sia di nuove competenze, sia di rivedere le vecchie modalità di lavorare: è il caso di Unicredit che, tra le altre cose, ha creato delle City hub, spazi aziendali posizionati in vari punti della città, in modo da ridurre la distanza casa-ufficio. Grazie alle tecnologie lavorare da remoto si può. La digitalizzazione quindi migliora la qualità di vita? O forse siamo troppo collegati?

Nella scuole si va proprio in questa direzione e si sta assistendo ad un processo di destrutturazione delle aule, organizzate con delle isole di lavoro attrezzate con dispositivi e materiale cartaceo, che permette una didattica più collaborativa. Genitori, docenti e studenti dialogano attraverso una piattaforma digitale, durante e fuori le lezioni. Un lavoro didattico che comincia in aula, continua a casa e torna in aula. Anche il mondo dell’informazione cambia, dalla parte del lettore che ha più fonti da cui poter attingere e più possibilità di verificarle. L’editore, intanto, sta cambiando sia il modo di raccontare la notizia che le logiche di vendita dell’informazione, e oggi lo fa prevalentemente nei luoghi dove avvengono le conversazioni: i social network.

Sul fronte sanità e dematerializzazione si è ancora molto lontani dall’arrivare ad eliminare i mastodontici archivi che riempiono grandi spazi fisici. Non esiste un database nazionale che ogni struttura sanitaria possa condividere indipendentemente dalla città. Esiste la tecnologia per farlo ma il Governo tarda nel fornire delle linee guida indispensabili per creare delle piattaforme che parlino la stessa lingua, eppure questo non solo ottimizzerebbe una buona parte dei costi ma, cosa più importante, salverebbe vite umane.
Un processo di digitalizzazione riconosciuto da tutti come inevitabile ma che ancora viaggia alla velocità di un pachiderma, se confrontato con la dinamicità con cui le tecnologie si evolvono.