LA SCUOLA 2.0: LA NUOVA FRONTIERA DELLA DIDATTICA
Nata 10 anni fa, come sorta di spin off dell’Università Statale di Milano, la Milano-Bicocca, diretta oggi dalla neoeletta rettore Maria Cristina Messa, fin dalla sua costituzione si è contraddistinta per alcune peculiarità: lauree innovative e docenti professionisti, intercettati dal mondo del privato, molto motivati e propensi alla ricerca applicata e all’innovazione. Per questo mix di ragioni, l’Ateneo nel 2013 è arrivato secondo tra le università italiane nella valutazione dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) che valuta tutti gli enti di ricerca italiani (170).
Tra i docenti, che contribuiscono a rendere nota la Milano- Bicocca, grazie alla loro ricerca, anche il professore di Teoria e Tecniche dei nuovi media e Tecnologie didattiche, Paolo Ferri, fondatore dell’Osservatorio Nuovi Media NuMediaBios: «l’innovazione è di sicuro una delle nostre priorità, che portiamo avanti all’interno degli ambiti di competenza. Ricerca, tra l’altro, applicata, anche per il fatto stesso che solo il 60% dei finanziamenti deriva dallo Stato, mentre per il restante 40% lo intercettiamo dall’esterno grazie a convenzioni e lavori realizzati con enti e mondo del privato». Quindi, un rapporto aperto e di interscambio con il territorio, «si senz’altro, e questo contribuisce a un buon placement degli studenti. Si pensi che il nostro bacino di riferimento è la Nord Milano, riconosciuta come una delle aree più produttive del Paese, che produce circa 1/5 del PIL italiano».
E per il futuro, l’obiettivo è quello di continuare il lavoro di ricerca avviato con le istituzioni e con le aziende, soprattutto nelle discipline della sociologia, delle biotecnologie, e della medicina. Altro settore di grande rilievo è quello delle scienze ambientali: è stato avviato anche un centro di ricerca e formazione su un atollo delle Isole Maldive per affrontare tematiche riguardanti lo sviluppo sostenibile. Il centro e il master collegato sarà per studenti italiani e stranieri. «Per quanto riguarda il mio settore, delle tecnologie didattiche – specifica Paolo Ferri – continueremo l’affiancamento alle scuole nella transizione al digitale e tutto il lavoro di ricerca e formazione. Oltre che, all’attività progettuale in collaborazione con aziende e istituzioni».
L’Osservatorio NuMedia Bios, coordinato dal professor Paolo Ferri, nasce nel 2001 all’interno del Corso di Dottorato di Ricerca internazionale in Società dell’Informazione (Progetto QUA_SI – Quality of Life in the Information Society). La struttura offre servizi di ricerca e consulenza, supporto alla progettazione e alla creazione di servizi, prodotti e applicazioni incentrate sull’utilizzo dei nuovi media in diversi settori applicativi: dei beni culturali, editoriale, informativo, educativo o dell’entertainment. «Prima del mio arrivo non c’era nessuno che si occupasse di tecnologie didattiche e nuove tecnologie. Fu l’allora preside di Facoltà, il professor Massa, a chiamarmi in Bicocca e a istituire dapprima il LISP (laboratorio informativo di sperimentazione pedagogica), grazie al quale abbiamo avviato l’operazione del passaggio on line della didattica di tutto l’Ateneo. E da questo laboratorio, in seguito sono gemmati 4 filoni di ricerca: quello sui bambini e la tecnologia (0-6 anni, ovvero della procreazione mediale dei piccoli); quello sui consumi mediali degli studenti universitari; sulle tecnologie per l’apprendimento; infine sulle trasformazioni del mercato editoriale. In quest’ultimo caso ho fatto tesoro della mia precedente esperienza in un’azienda che progettava testi scolatici anche multimediali. L’Osservatorio, in generale, ha l’obiettivo di capire le trasformazioni generate dall’introduzione delle tecnologie nell’apprendimento e nella trasmissione dei saperi. La nostra ricerca si estende, nelle collaborazioni, e viene finanziata da enti pubblici e da privati – per fare alcuni esempi Mondadori Education e Atlantyca società che realizza Geronimo Stilton. Negli anni abbiamo partecipato anche a bandi europei anche se, in genere, sono maggiormente vincolati. In particolare, con il Ministero della Pubblica Istruzione abbiamo istituto convenzioni per il progetto Scuola 2.0. Per quanto riguarda la fascia d’età 0-6 anni siamo l’unico centro di studio in Italia».
Cosa si intende, oggi, per nativi digitali lo spiega sempre il professor Ferri: «attualmente si condivide che trattasi di una nuova forma di intelligenza (intelligenza digitale) e che il suo peso è destinato a incidere sulle sorti dell’apprendimento dei prossimi anni, e quindi dell’istruzione nel suo complesso, o se vogliamo, per l’appunto sull’Education (come azione complessa non solo pedagogico relazionale ma anche e soprattutto disciplinare). I “nativi” attraverso il loro “stile di apprendimento digitale” suggeriscono oggi una nuova modalità didattica ai loro insegnanti: richiedono di essere indipendenti e costruire le forme e i risultati del loro apprendimento. Per colmare il gap tra i nuovi stili di apprendimento dei giovani e le strategie di insegnamento, ancora molto tradizionali e improntati al puro trasferimento di conoscenze, occorre una trasformazione radicale che implica la riprogettazione dell’intero sistema scuola, ovvero una scuola ‘aumentata’ dalle tecnologie».
La Scuola 2.0 e una rivoluzione culturale sono possibili in Italia? «Siamo diversi anni indietro rispetto gli atri Paesi d’Europa. Basti pensare che la predisposizione al digitale nella scuola italiana non è mai avvenuta. Nel ’96, l’allora ministro all’istruzione Luigi Berlinguer avviò un piano seriamente finanziato per cablare e infrastrutturare le scuole. In seguito, l’attenzione del Governo è stata destinata altrove, fatta eccezione all’istituzione dell’Indire, l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa che ha portato avanti, anche se con risorse assai ridotte, con alcuni piani di lavoro – lim, scuola 2.0, etc.- Il piano Scuola 2.0, in particolare, è andato avanti per qualche anno, ma il limite fu che abilitavano una classe per istituto. Quindi, un’operazione a macchia di leopardo. In Italia è stato fatto veramente poco se si pensa che in Inghilterra, Stati Uniti e Corea la trasformazione è stata gestita con un processo Top Down: a un certo punto si è deciso di infrastrutturare la scuola, cablandola completamente e formando adeguatamente gli insegnanti. Nel Regno Unito, ad esempio, il governo ha imposto i libri digitali a scuole e editori. Un investimento ingente, ma necessario. Con il Governo Monti è stato avviato nuovamente qualcosa come l’adozione dell’agenda digitale, attiva in altri Paesi dell’UE già dal biennio 2005-2006».