La rivoluzione del pensiero
Sognatore, lungimirante, e con una passione maniacale per la tecnologia: per Mario Carraro la grande rivoluzione è che aziende e persone inizino a pensare con le macchine, più che adattarle alle strutture esistenti.
Mario Carraro, classe 1929, tutte le mattine legge i giornali americani ed europei sul suo Kindle ed è capace di mandare indietro la segretaria se arriva con mazzette di documenti che era perfettamente inutile stampare. Dell’azienda, fondata a Campodarsego nel 1932 dal padre, Giovanni, e quotata dal 1995 alla Borsa di Milano, è stato presidente dal 1961 fino allo scorso anno, quando la guida di Carraro Group è passata nelle mani del figlio, Enrico. Giro d’affari poco al di sotto del miliardo di euro, Carraro è da anni fra i leader mondiali nel campo delle macchine agricole, dei sistemi di trasmissione e dell’elettronica di potenza.
Presidente, lei alla sua età rilegge i classici su un e-reader mentre ci sono cinquantenni che rifiutano ogni dispositivo che sia più complesso di un telecomando del decoder Sky. C’è qualcosa che non funziona?
Diciamo innanzitutto che io con la tecnologia ho sempre avuto un rapporto un po’ maniacale. Magari anche per la mia pessima calligrafia. Le lettere alla morosa le scrivevo a macchina, se no difficilmente sarei riuscito a farle capire che volevo sposarla. In ogni caso, per tornare più seriamente sul tema, dovrebbe essere sufficiente sapere che nei primi anni ’80 all’interno del nostro Gruppo tutte le aziende comunicavano già per e-mail.
Un bel po’ prima dell’arrivo di Internet. Come avete fatto?
Una rete dedicata tutta nostra, naturalmente, ed un sistema Ibm che all’epoca era già evoluto. Chi lavorava con me un po’ alla volta ha assorbito questa mentalità.
Ha incontrato resistenze culturali fra i suoi collaboratori?
Alcune ancora oggi mi fanno sorridere. Ad esempio, quando furono introdotti i piccoli calcolatori, precursori dei pc, i periti meccanici facevano la stupida gara per vedere chi era più veloce fra loro e il computer. Loro usavano il regolo, strumento che non dava mai un dato esatto. Magari il calcolatore era un po’ più lento ma sulla precisione non si poteva discutere. Perché non ha aspettato che le macchine diventassero un po’ più veloci prima di acquistarle? Era la mente dei collaboratori che doveva velocizzarsi. Ricordo che negli anni in cui stavano espandendosi i primi Cad, andai a vederli da vicino alla Ibm di Agrate, con il direttore dell’ufficio tecnico. In realtà lui ne rimase incantato ma concluse che il passo per la nostra azienda sarebbe stato prematuro perchè erano troppo lenti. Io invece volli che li acquistassimo subito, il loro ruolo di plasmatori di mentalità era fondamentale. Qualche anno più tardi le macchine si erano già molto evolute e velocizzate. Nel corso di una visita all’ufficio tecnico per gli auguri di Natale vidi che tutti avevano i computer ma non si erano affatto eliminati i tecnigrafi. Erano ancora abituati al fatto di esaminare un disegno solo una volta trasferito su carta. Chiamai allora il direttore tecnico e gli ordinai che entro il 1 gennaio tutti i tecnigrafi fossero fatti sparire.
Fra il 1994 ed il 1996 lei fu anche presidente della Federazione degli Industriali del Veneto. Avrà avuto modo di sondare un po’ l’approccio dei suoi colleghi rispetto alle tecnologie di cui stiamo parlando. Il mondo industriale veneto di 20 anni fa era abbastanza attento?
Onestamente avevo la netta sensazione che i miei colleghi mi guardassero un po’ come una macchietta per la mia passione per Internet, allora considerata dai più null’altro che un passatempo. Il primo pc entrò negli uffici di Confindustria solo alla fine degli anni ’80, quando ormai i computer li avevano già tutti. Oggi credo che abbiamo superato questa fase però siamo ancora lontani da un’applicazione integrale di questi strumenti.
Cosa intende per applicazione integrale?
Credo che si ragioni ancora troppo adattando le tecnologie alle strutture esistenti, mentre occorre pensare sempre di più ad aziende che nascono con un’adozione totale delle stesse fin dall’origine. Mi spiego in altro modo. Oggi la gran parte di ciò che si fa con il pc è ad imitazione dell’analogico, la mia segretaria non viene da me con un documento se non è stampato, le fatture elettroniche hanno sempre una loro replica su carta. Abbiamo bisogno, al contrario, di inventare il documento, non di imitare quello tradizionale. Questa sarebbe la grande rivoluzione, ma siamo ancora molto lontani, resistono presidenti di aziende importanti che affidano alle segretarie il compito di mandare e ricevere e-mail perchè non lo sanno proprio fare. Del resto, quando un Paese come il nostro è al 50° posto al mondo nell’uso di Internet non può dirsi avanzato.