La felicità aumenta la produttività in azienda?
Un percorso zen in azienda fino a poco tempo fa era utopia, oggi sono sempre di più le imprese che si avvalgono del modello di consapevolezza per migliorare il clima, lo stress e l’efficienza dei propri collaboratori. Luciano Campagnaro, psicologo, ci racconta come.
Quanto lo stress del lavoratore è fonte di inefficienza in un’azienda?
Moltissimo. Quando un lavoratore vive una condizione di stress, oltre ad avere una serie di conseguenze psicofisiche da affrontare a livello individuale, per l’azienda diventa anche un problema. Il lavoratore di oggi non è strutturato per far fronte allo stress all’interno delle aziende, così come sono organizzate verso una competizione sempre maggiore. Non è più sufficiente prendere in considerazione lo stress con il semplice schema interpretativo occidentale, oggi è importante affrontare il problema come fonte di inefficienza personale e produttiva. Una complicazione che si ripercuote anche sul conto economico. Google, ad esempio, ha capito l’importanza dell’efficienza del patrimonio umano. I ritmi di lavoro in questa azienda sono davvero stressanti. Google usa le pratiche di meditazione per aiutare i propri dipendenti ad essere persone più felici e un po’ meno stressate, guadagnando moltissimo a livello di efficienza nei rapporti umani tra colleghi.
Un dipendente non stressato contribuisce a valorizzare gli asset intangibili di un’azienda?
Certo. Il dipendente offre la propria capacità professionale all’azienda e questa dà l’opportunità al dipendente di sentirsi coccolato, amato e soprattutto di iniziare a lavorare con un approccio nuovo in cui il cuore viene prima della mente. Il modello di evoluzione aziendale oggi deve partire dal “cuore” delle persone ed il corso di “Consapevolezza Efficace” che conduco dimostra che questo è un modo efficace per contribuire a valorizzare gli asset di una azienda.
Fare la felicità dei dipendenti per aumentare la produttività. Ci spieghi come…
Il livello di job satisfaction è stato dimostrato essere il fattore determinante per la presenza o assenza dei così detti “sintomi di malattie aziendali”. Con la meditazione si cambia approccio nel curare i “sintomi” che compongono il “mal-stare”. La via inizia proprio da un approccio centrato sul “cuore”, usando la pratica della meditazione per essere persone più felici e un po’ meno stressate attraverso la consapevolezza del corpo-mente. Il mio programma si articola in tre fasi: addestramento meditativo attivo, conoscenza e padronanza di se stessi; creazione di abitudini mentali utili. È interessante notare come l’aspetto emotivo sia messo al centro dell’attenzione. La prima fase è puntare tutto sulla riduzione dello stress psico-fisico, attraverso la meditazione attiva si fanno esercizi che aiutano a riprendere il controllo del proprio corpo abbattendo i nodi fisici dello stress. Contemporaneamente si lavora su un processo di consapevolezza emotiva, ovvero essere consapevoli di come la mente riesce a farci credere di funzionare positivamente quando in realtà inganna i nostri pensieri e le nostre idee. I partecipanti al percorso si allenano a mettere in discussione il loro pensiero e a riformularlo in base a delle emozioni assolutamente positive. Il fine è portare la ricerca di un senso più alto, nel lavoro come nel privato, che aiuti a sopportare le difficoltà del momento, ad allentare la tensione, a saper guardare oltre e ritrovare un significato che renda tollerabile l’incertezza recuperando fiducia nel futuro.
In Italia, a differenza dell’estero, siamo figli di imprenditori “padre-padrone” che difficilmente considerano un approccio zen utile per la propria azienda. Lei come spiega questa nuova metodologia di comunicazione interna ad un uomo di business con questa mentalità?
È una cultura che non esiste solo in Italia, la si trova dappertutto, pensi solo alla cultura giapponese. Credo che il “padre-padrone” sia sempre esistito in più settori della vita: nell’aspetto spirituale, nell’aspetto sociale, aziendale. Chi ha un ruolo più importante del tuo è sempre un “padre-padrone”, un comandante non potrà essere efficiente se il suo approccio di relazione, decisionale, sarà di tipo orizzontale. Pensiamo a tante grandi aziende che non sarebbero tali se non avessero avuto un “padre-padrone” che le avesse governate. Appurata l’esistenza di un “padre-padrone”, noi dobbiamo accettare il nostro ruolo che è dettato dalla capacità di essere quello che siamo e possiamo solo tentare di migliorare, non andando contro ma collaborando assieme nel diventare un gruppo coeso.
Qual è stata la sua esplorazione prima di arrivare a questo modello di evoluzione aziendale?
Ho cominciato a studiare psicologia e filosofie orientali in tempi davvero acerbi. Dopo la laurea ho fatto lo psicologo clinico per alcuni anni, poi ho invertito la rotta andando a lavorare per le aziende come psicologo responsabile del personale, e lì ho compreso dalla mia esperienza che mancava qualche cosa che potevo portare, come ad esempio la meditazione in azienda. Mi sono quindi dedicato solo alla conoscenza e alla pratica della meditazione per alcuni anni fino ad avvicinarmi al buddismo praticante e a diventare un monaco laico. Ho organizzato la mia attività nel portare al risveglio il benessere in azienda attraverso il metodo della “Consapevolezza Efficace”.
Adriano Olivetti, nonostante i tempi, è stato in Italia il primo a credere che un approccio manageriale diretto al benessere del dipendente fosse utile per l’azienda. Mi chiedo se fosse un atto di generosità o se lo facesse perché i risultati economici erano tangibili. Lei cosa ne pensa?
Olivetti è stato un “buddista antesignano”, perché era una persona che pensava al bene degli altri. La vera felicità che ha un praticante buddista è dare la felicità agli altri aiutandoli a trovare la via per stare bene. Olivetti è stato mosso da una grande compassione verso il prossimo e questo lo ha portato ad avere dei risultati importanti nel sociale. Tutti possiamo essere Adriano Olivetti, basta praticare l’amore universale verso gli altri.
Qual è l’andamento dello sviluppo di questo approccio nelle aziende italiane ed estere?
Le principali aziende americane stanno andando in questa direzione molto velocemente e da qualche anno hanno al loro interno team di consulenti specialisti della salute del dipendente per il benessere psicofisico, per il benessere psicologico, etico, ed anche spirituale. In Italia siamo ancora agli albori, ma con grande attenzione e sensibilità stiamo introducendo nel dizionario manageriale le parola meditazione, visualizzazione, energia spirituale, mindfulness, etc. Questo fa ben sperare che presto si passi dal dizionario alla pratica.
Quali tipologie di aziende sono più sensibili a questo approccio?
Non c’è un’azienda o un settore particolare dietro queste scelte, ma ci sono uomini in azienda che decidono per sensibilità di far sì che le persone, in un contesto lavorativo difficile, si sentano a proprio agio e possano consentire alle aziende di crescere. Perché tutto questo accada, però, è necessario impostare progetti in cui la cultura del benessere rappresenti un valore per le aziende che devono essere supportate in un passaggio culturale. È la coscienza collettiva che impatta sul clima aziendale. È bene ricordarlo.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nel cercare di far mettere in pratica il suo metodo?
Il benessere, come dicevo, parte dalla prevenzione ed è, prima di tutto, una questione educativo-culturale. Purtroppo molte aziende non investono nella promozione di iniziative di benessere dirette all’adozione di comportamenti corretti da parte della popolazione aziendale. Gli stessi che aiuterebbero a migliorare la qualità della vita dei dipendenti e avrebbero una vera efficacia integrata in un piano di responsabilità sociale, interna ed esterna.
Ha dei risultati tangibili rispetto a quello che ha già fatto in altre aziende?
Nelle aziende in cui ho introdotto il percorso di “Consapevolezza Efficace” è migliorata l’efficienza delle persone, si sono abbassati gli indici di stress e soprattutto le persone si sono sentite vicine al nuovo modo di appartenere all’azienda, in una esperienza che ha aiutato a riscoprire i propri valori, la propria mission e a ritrovare un significato nel lavoro. Il risultato è eccezionale quando l’azienda incontra il “cuore” dei dipendenti.