IL VOLTO DELL’IMPRESA ITALIANA TRA DIGITALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE
“L’Italia è digitale a macchia di leopardo, con alcune luci e molte ombre e con casi di eccellenza sia nel pubblico che nel privato, accanto a un generale ritardo digitale che segna sia la Pubblica Amministrazione che le Pmi che le famiglie”. Per quanto riguarda l’internazionalizzazione le imprese della filiera ICT hanno sviluppato grosse capacità per operare e competere anche al di fuori dei nostri mercati nazionali. A parlarci della realtà italiana il presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania.
Cos’è Confindustria Digitale?
Confindustria Digitale è la Federazione di rappresentanza industriale dell’ICT nata nel giugno 2011 con l’obiettivo di promuovere la crescita dell’economia digitale in Italia. Sono soci: Assotelecomunicazioni-Asstel, l’associazione della filiera delle imprese di Telecomunicazioni, Assinform in rappresentanza dell’Information Technology, Anitec che riunisce i produttori di tecnologie e servizi di ICT e Consumer Electronics, Aiip (Associazione degli Internet Provider), Assocontact (Associazione dei Contact e call center), Asso.IT (Associazione nazionale fornitori Information Technology – Document Management & Printing). Il massimo organo politico della Federazione è il Consiglio generale, formato, oltre che dai presidenti delle associazioni federate, da 20 consiglieri in rappresentanza dei principali gruppi nazionali e internazionali dell’ICT in Italia. A Confindustria Digitale fanno capo imprese per un totale di oltre 250.000 addetti che realizzano un fatturato annuo di oltre 70 miliardi di euro.
Che supporto porta alle imprese?
La Federazione è direttamente impegnata nello stabilire anche in Italia un quadro regolatorio favorevole all’innovazione e incentivante gli investimenti del settore. In quest’ambito svolge presso le istituzioni, il Governo, il Parlamento italiano, nonché presso le istituzioni europee, un’intensa attività di produzione di studi e analisi, proposte di legge, emendamenti, azioni di sensibilizzazione. Sul piano operativo abbiamo in essere un’articolata collaborazione tecnica con l’Agenzia per l’Italia Digitale finalizzata a contribuire all’attuazione dei progetti strategici di innovazione della Pubblica Amministrazione. Allo stesso tempo con Consip abbiamo aperto un tavolo di lavoro secondo logiche di partenariato precompetitivo per delineare al meglio gare e progetti in partnership pubblico-privato, come il project financing o il perfomer financing.
Quanto digitale è l’Italia?
L’Italia è digitale a macchia di leopardo, con alcune luci e molte ombre e con casi di eccellenza sia nel pubblico che nel privato, accanto a un generale ritardo digitale che segna sia la PA che le Pmi che le famiglie. Per esempio, l’Italia occupa il secondo posto nel mondo per numero di abbonati alla telefonia mobile. Ancora, se consideriamo il dato sulla diffusione dell’uso regolare di Internet (almeno 1 volta alla settimana), che cresce in tutta Europa, con un incremento di circa il 2% tra il 2012 e il 2013 e una media europea che si assesta attorno al 70%, notiamo che la crescita in Italia è stata tra le più marcate (+8%). Tuttavia, la diffusione di Internet resta ancora lontana dal target europeo del 75% della popolazione connessa entro il 2015, in particolare in Italia dove il 34% non fa ancora alcun uso di Internet. In tema di competenze poi l’Italia appare in ritardo con ben il 60% della popolazione priva di skill digitali contro il 47% della media europea. In complesso ne risulta un Paese ancora molto in difficoltà nell’abbracciare la trasformazione digitale come chiave per modernizzarsi e riprendere a crescere. Nel 2013 la spesa ICT italiana rappresentava il 4,8% del PIL contro una media europea (Ue 28) del 6,6%, ma contro la Germania al 6,9, la Francia al 7,0 e l’UK.
ICT e IT in Italia: Si parla spesso di pochi investimenti nel settore…
Fino a tutti gli anni ‘80 del secolo scorso il nostro paese investiva in ICT un valore superiore a quello investito da paesi come Giappone, Austria o Francia e sostanzialmente confrontabile alla quota sostenuta da Svizzera e Germania. Dalla seconda metà degli anni ‘90, invece, l’Italia inizia a distaccarsi da questo trend positivo, che per gli altri paesi è continuato e spesso aumentato, per registrare una riduzione di un buon 35%, creando un vero e proprio spread digitale tra la nostra e le altre economie europee quantificabile ormai tra 23 e 25 mld di euro l’anno di mancati investimenti. Che cosa è successo in quegli anni? L’entrata in campo di Internet, alla fine del secolo scorso ha rappresentato una forte discontinuità nelle tecnologie digitali. Le applicazioni web, le tecnologie di rete, richiedono, infatti, innovazioni radicali nei modelli, nella cultura d’impresa, nel mercato del lavoro, così come nell’organizzazione e nei processi della PA. Per generare valore da queste tecnologie sono necessari investimenti complementari in quello che viene chiamato “capitale organizzativo”, vale a dire revisione degli assetti organizzativi e dei processi, del management e delle competenze. È su questo, sulla necessità, cioè, di trasformarsi per usufruire dei vantaggi delle nuove tecnologie digitali, che l’Italia ha dimostrato e continua a dimostrare di avere grandi difficoltà e resistenze.
La mancata affermazione dell’ICT nel nostro Paese non è anche un po’ colpa del comparto?
Certo, esiste anche un problema dell’offerta digitale. Il settore ICT in Italia genera un valore aggiunto sul PIL pari al 4,2%, quota lievemente inferiore alla media europea, ma sensibilmente più bassa di quanto si registra in altre economie come quella statunitense (6,4%), cinese (6,6%), giapponese (6,9%) o di Taiwan (10,5%). D’altro canto la struttura del settore è in linea con l’intera economia che vede, accanto a un nucleo di poche grandi imprese nazionali e multinazionali, una prevalenza di piccole imprese, pari al 52% contro il 25-30% degli altri Paesi, con una produttività inferiore di quasi il 50% rispetto a Francia, Germania e Inghilterra. Queste piccole imprese ICT non sempre possono essere in grado di investire in innovazione, di disporre del portafoglio di skill richiesti dall’odierna complessità tecnologica e di sostenere quelle attività complementari all’utilizzo della tecnologia necessarie per estrarne tutto il valore per l’utilizzatore. Va detto, tuttavia che oggi il settore è attraversato da un’importante dinamica di trasformazione, con componenti innovative che registrano grande vivacità, i cui trend in salita sono allineati a quelli internazionali, anche se non in grado ancora di generare volumi di fatturato capaci di incidere sull’andamento complessivo del settore. La crescita del cloud (+35,7%), dei contenuti digitali (+6,6%), del software con nuove soluzioni e applicazioni (+3,2%) sembrano disegnare o i contorni di una nascente innovazione digitale italiana, legate anche anche al fenomeno delle start up, che va sostenuta con adeguate misure incentivanti.
Internazionalizzazione delle imprese digitali: quali scenari apre questa tematica?
L’espansione all’estero è diventata una strategia vitale per le imprese italiane, infatti, le imprese internazionalizzate hanno mostrato una migliore tenuta durante la crisi e, nel mutato contesto globale, la capacità di dare un nuovo impulso all’export italiano appare fondamentale per la nostra economia. Negli ultimi anni, le imprese della filiera ICT hanno sviluppato grosse capacità per operare e competere anche al di fuori dei nostri mercati nazionali. I dati di flusso della Banca d’Italia confermano che la bilancia dei pagamenti ICT è tendente al pareggio grazie a una forte propensione all’export di servizi registrata proprio in questi anni di crisi. Al contempo il settore ICT va considerato come un importante supporto alle strategie delle imprese appartenenti alle altre filiere produttive, in quanto offre la possibilità di sfruttare le soluzioni e i servizi da esso prodotti come strumento utile nel definire e rafforzare il posizionamento competitivo. L’internazionalizzazione è quindi una grande opportunità, se non un’esigenza, anche per le imprese dell’Information and Communication Technology.
Quali le politiche necessarie per rendere le imprese maggiormente internazionalizzate e competitive?
Nell’immediato bisogna dare attuazione al piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia previsto dall’art. 30 del DL Sblocca Italia, prevedendo una parte specifica per il settore ICT. In quest’ottica vanno attuati rapidamente i voucher a fondo perduto per il rafforzamento organizzativo delle micro, piccole e medie imprese tramite il finanziamento di figure professionali specializzate nei processi di internazionalizzazione al fine di realizzare attività di progettazione e gestione di processi e programmi su mercati esteri.
Quali le politiche necessarie per cambiare rotta?
Per far cambiare rotta al Paese la parola d’ordine è: attuazione! È finito il tempo delle liste di cose da fare. Ormai sappiamo cosa va fatto e dobbiamo passare alla loro fase esecutiva, concentrandoci su poche cose essenziali. In tema di PA sette sono i progetti prioritari individuati in grado di creare un effetto “trascinamento” su tutti gli altri servizi: un portale di Log-in nazionale, una piattaforma per i servizi della Scuola (contenuti didattici), il Fascicolo Sanitario Elettronico e la ricetta digitale (nell’ambito del Patto per la Sanità Digitale), un sistema dei pagamenti, l’Anagrafe Nazionale della popolazione residente e dei numeri civici in un’ottica di georeferenziazione, il Sistema Pubblico d’Identità Digitale, l’interoperabilità INPS, INAIL, Fisco. Infine, per superare la logica a silos finora prevalente nella PA va assicurata la definizione di standard e architetture IT interoperabili per le banche dati e i servizi condivisi.
Sul fronte della digitalizzazione delle PMI, specie le piccole imprese, vi sono due piani di intervento. Bisogna puntare da un lato all’aggregazione delle imprese attraverso i contratti di rete intorno a piattaforme di filiera per il Made in Italy, dall’altro alla creazione di un fondo per la formazione e l’invio in azienda di giovani project manager digitali che, per un periodo di tempo determinato, eseguano un assessment delle necessità dell’impresa e lancino un progetto di digitalizzazione. In quest’ottica va rapidamente attuato e rafforzato il voucher per le PMI (già previsto nel DL “Destinazione Italia”) finalizzato alla digitalizzazione dei processi aziendali, facendo dell’agevolazione uno strumento strutturale per l’arco temporale 2015-2020.