Il Veneto delle conoscenze che genera lavoro
Intervista ad Alberto Baban, vice presidente di Confindustria Veneto con Delega alla Ricerca e Innovazione e alle Politiche industriali. Per l’imprenditore veneto è caduta la “storica” distinzione tra piccola, media e grande impresa in favore di una nuova definizione che ha come criterio di riferimento il mercato in cui un’azienda agisce.
L’industria nel Veneto, PMI e grande industria: verso una nuova definizione culturale?
Per riuscire a dare una previsione del futuro industriale del territorio è necessario innanzitutto avere un’idea precisa della realtà presente. Oggi, infatti, la definizione di PMI è diventata generalista e troppo stretta: non dà il quadro preciso di quello che è l’assetto imprenditoriale e industriale. Oggi viene meno il criterio storico di distinzione di natura dimensionale. La vera diversità consiste nella capacità – più o meno forte – di avere competenza e competitività globale, e di avere accesso ad un mercato internazionale. Quindi, la dimensione può essere una discriminante solo relativamente ai mercati a cui le aziende possono accedere.
Come aiutare le aziende che non hanno una competitività globale?
Senza generalizzare, è importante individuare strumenti appropriati e concreti per aiutare quelle aziende che hanno le capacità. In base ad un monitoraggio svolto, si è rilevato che le competenze e le conoscenze nel sistema industriale veneto sono ampie, anche se a volte micronizzate, sparse o male organizzate. Abbiamo un tessuto composto da persone di grande professionalità, e già predisposto dall’artigianato a passare a livello industriale, per quanto concerne un’organizzazione complessa. Questo potrebbe essere un momento opportuno e positivo, resta però da comprendere che il mercato ormai non è più dietro alla porta, o rivolto alla Germania, “a portata di furgoncino”, è molto più distante in territori come l’Asia, o nel Nord Africa dove esiste un nuovo mercato che sembra aver bisogno ancora di tempo per raggiungere un equilibrio. Ecco che è indispensabile che le istituzioni diano indirizzi di visione e indichino le grandi opportunità esistenti all’interno di spazi inesplorati che cercano proprio le nostre competenze e conoscenze.
Conoscenza e competenza, dunque, come fattori guida per lo sviluppo?
Le nostre specializzazioni si sono realizzate nell’evoluzione del sistema industriale dal dopoguerra fino ad oggi e sono frutto anche della dipendenza dai grossi gruppi, che hanno concorso a creare prima i distretti e poi tutto il canale dei terzisti. La grande industria è solo l’ultimo passo evolutivo del sistema imprenditoriale e, per definizione, essa segue il mercato e realizza prodotti che rispondono alle richieste dello stesso. Ci sono poche aziende nel mondo che, come quelle italiane e venete, hanno competenze e creatività per plasmare il prodotto al bisogno. Fa parte, in un certo senso, del nostro DNA. Oggi, infatti, affrontiamo un mercato che non cerca più solo prodotti commodity ma concepiti con personalità e pregni di un determinato significato. E questi prodotti, che non sono solo un’espressione tecnologica ma più in generale di un’idea e di una cultura, possono essere fatti solo da chi ha un vissuto imprenditoriale e industriale costruito nel tempo. Quindi, non è vero che le grandi imprese vanno solo dove c’è basso costo di manodopera, bensì dove possono trovare queste competenze e questa capacità industriale. Non è un caso che aziende, come ad esempio in Veneto Luxottica e De Longhi, siano presenti e funzionino qua in Italia nonostante i costi e un sistema fiscale pressante che non favoriscono l’impresa. Dunque è solo l’industria che vuole puntare sul costo come driver quella che non viene fatta qui ma in Cina e nei Paesi dell’Est.
Chi dovrebbe spiegare tutto questo alle imprese? Come indirizzarle?
Nel Veneto abbiamo 406mila partite iva, quindi l’obiettivo non è riuscire ad esprimere o ad avere ancora più imprenditorialità. Su una popolazione di circa 5 milioni di abitanti ci sono 600mila persone che hanno partita iva commerciale, industriale o agricola, ovvero più del 10% della gente. Non stiamo cercando di spingere le persone a fare un lavoro con una forte propensione al rischio – c’è la direzione d’impresa – ma stiamo cercando di indirizzare coloro che hanno competenze verso l’individuazione del modello di impresa e del tipo di mercato di accesso che possono rivelarsi vincenti e di successo. La politica, innanzitutto, dovrebbe indicare la via stabilendo una “visione” principale e definendo piani industriali, a seguire tutte le parti istituzionali (compreso il sistema sindacale d’impresa, ossia Confindustria) dovrebbero fare “difesa” e acculturazione dell’impresa.
Qual è attualmente lo stato delle imprese? Da dove partono e dove potrebbero arrivare…
La definizione d’impresa, oggi, varia a seconda della nicchia di mercato in cui agisce e a seconda delle prospettive che ha in questo momento: ci sono aziende sviluppate – di dimensione variabile – che hanno un prodotto maturo, ma senza molti sbocchi, e hanno necessità di incidere solamente nei costi, quindi localizzano la produzione. Si tratta di realtà che non sono legate a fattori territoriali e che devono seguire le richieste del mercato. Poi, ci sono altre imprese che per crescere, al di là delle dimensioni, non possono solo ambire a raggiungere dei costi ideali ma devono obbligatoriamente fare un passo ulteriore, ovvero far apprezzare l’immagine e il prodotto, creando fidelizzazione. Per questo, servono precise skill. E, parlando di politica “prospettica”, queste sono le imprese più interessanti perché possono stare in questa parte del mondo, dove trovano le competenze. Per fare un esempio, Louis Vuitton ha deciso di investire a Riviera del Brenta nel noto calzaturificio Rossimoda: non ha delocalizzato la produzione, anzi ha implementato le abilità esistenti, indicando all’esterno che qui si trovano le competenze considerate punto di riferimento. In questo caso il territorio ha intercettato investimenti dall’estero e ha preservato il know how, a cui è stato conferito un valore aggiunto perchè non delocalizzabile. Questo è un esempio di “oltre” made in Italy, in cui si dà significato al prodotto esaltando il lifestyle italiano.
Come si colloca in questa evoluzione il ruolo delle istituzioni?
Oggi ci sono delle opportunità rilevanti e la politica nazionale dovrebbe capire che cosa significa realmente sostenere il sistema impresa, che attualmente viene considerato solo nella sua ultima parte, ovvero il reddito d’impresa tassabile. Al contrario l’incentivazione dell’impresa porta ad un benessere diffuso e ad un aumento di disponibilità di denaro per tutti, quindi dei lavoratori, e del sistema che ruota attorno.
E il ruolo delle confindustrie? C’è sinergia con le istituzioni?
Come Confindustria Veneto abbiamo un ottimo rapporto con la Regione: con l’assessorato allo Sviluppo economico e con l’Università Ca’ Foscari stiamo portando avanti, infatti, il progetto “InnovArea”. Ossia, un percorso di analisi del sistema imprenditoriale del Veneto per riuscire a definire, concretamente, una tesi di politica industriale per il prossimo futuro. La Regione ha ben interpretato le opportunità date dall’integrazione delle forze del sistema istituzionale.
Ci racconti l’idea “InnovArea”.
“InnovArea” vuole indicare il futuro dell’impresa nel nostro territorio. L’idea parte dal monitoraggio del sistema impresa e prosegue nella discussione con gli stakeholders e gli interpreti del territorio per arrivare a configurare gli indirizzi di politica industriale e gli aiuti necessari alle aziende per performare. Non si tratta di una mera analisi statistica, spesso in ritardo rispetto ai tempi celeri del mercato. Abbiamo monitorato, dal 2007 – anno del cambiamento – al 2012, tutte le 33mila società di capitale presenti in Veneto e abbiamo fatto una selezione individuando quelle società che hanno la possibilità di interagire su un mercato con potenzialità di sviluppo, dunque non quello confinato. È stato, quindi, elaborato un algoritmo che prende in considerazione la patrimonializzazione e l’;espressione della capacità di crescita che ha un’azienda. E proprio questo algoritmo ha permesso di selezionare un numero di imprese che ha performato mediamente e un altro che ha performato sopra la media. Questi campioni di aziende venete – non le solite note o appartenenti ad un unico settore o con dimensioni specifiche – sono i nuovi “driver”. La Regione, quindi, propone, di studiare questi nuovi driver, iniziando con loro un percorso, perché il loro modello d’impresa – che ha funzionato – possa essere replicato anche dalle altre integrando al loro interno gli schemi vincenti. Ecco che, in una situazione di difficoltà oggettiva – la crisi economica, l’alta tassazione, e i costi elevati – “InnovArea” racconta le imprese che hanno performato e le caratteristiche del loro successo…
Può anticiparci qualche risultato?
Ad ottobre ci sarà una kick-off al Terminal Passeggeri di Venezia durante il quale presenteremo il progetto, invitando tutte le aziende performanti (le prime 1.000 aziende). Si tratta di un primo lancio di un percorso per raccontare quali possono essere le opportunità. Indichiamo le potenzialità espressive di questo Paese: perché qui c’è una certa cultura imprenditoriale non riscontrabile altrove che ha permesso la nascita e lo sviluppo di un certo tipo d’impresa.