Il riconoscimento facciale
Tra opportunità di business e violazione della privacy
di UNIS&F
Il riconoscimento facciale è una tecnica di intelligenza artificiale utilizzata in campo biometrico che consente di verificare l’identità di una persona a partire da un’immagine che la ritrae. Innumerevoli sono i campi di applicazione ove questa tecnologia è già stata sdoganata, basti pensare agli smartphone di ultima generazione. Ma quali sono i risvolti privacy di questo tipo di trattamento? Qual è il reale prezzo da pagare? Vediamolo assieme.
Agli esordi del riconoscimento facciale
I primi esempi di come questa tecnologia possa avere risvolti sulla nostra vita risalgono addirittura al 2014, quando la Stanford University creò il database Brainwash, il cui nome deriva da un omonimo caffè di San Francisco in cui i ricercatori avevano inserito una fotocamera. In tre giorni, la fotocamera ha catturato più di 10.000 immagini, che sono state inserite nel database, ma non è chiaro se le persone fotografate fossero o meno al corrente dell’esperimento. Successivamente i ricercatori di Stanford hanno condiviso il atabase, che ha potuto così essere utilizzato in Cina da accademici associati alla National University of Defense Technology e a società di intelligenza artificiale che forniscono la tecnologia di sorveglianza per il monitoraggio, tra gli altri, di alcune minoranze etniche cinesi. La base dati del progetto Brainwash è stata rimossa dal sito web originario nel giugno scorso, e per quanto nelle intenzioni dei ricercatori non vi fosse l’arricchimento o il dolo, la quantità di dati qualificati raccolti nel data base creato si è dimostrata essere di per sé l’origine del problema. Ma il caso generato dai ricercatori della Stanford University non è isolato, ed evidenzia in modo palese come le potenzialità che la tecnologia oggi consente di esprimere superino di gran lunga il controllo che i singoli individui possono esercitare sulla propria privacy.
Biometria e privacy
L’utilizzo della biometria presenta risvolti problematici per la riservatezza delle persone, risvolti però mitigati da fenomeni di sospetto sociale quali quelli connessi a fatti terroristici, a prevenzione di reati e controllo nei luoghi di lavoro per massimizzare i profitti, ovvero per ridurre le perdite dovute allo scarso rendimento del lavoratore. Sentiamo ripeterci che dette tecnologie di identificazione facciale sono usate per garantire la nostra sicurezza e in tal senso siamo disposti perfino a rinunciare a qualcosa come parte della nostra privacy pur di avere in cambio la sensazione di sentirci protetti. Ma siamo davvero così sicuri che di sola sicurezza si tratti e che non vi siano interessi ulteriori sottesi all’utilizzo di tale nuova tecnologia? Quello che impressiona e che forse sfugge alla nostra percezione è che la tecnologia non si limita a collegare un volto con informazioni già presenti online. Infatti, i software dei sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di riconoscere con grande precisione il sesso, l’età ed almeno 5 stati d’animo (felicità, tristezza, sorpresa, rabbia o neutralità). A breve potremo quindi vedere prezzi personalizzati in base al compratore o, raccogliendo dati di migliaia di utenti, le aziende potranno posizionare la merce sugli scaffali secondo un ordine ben mirato.
Cosa dice la Legge
In conclusione, il riconoscimento facciale potrebbe “spiare” le nostre reazioni davanti alla pubblicità di un prodotto o davanti ad un manifesto politico e, dal livello di interesse o da una particolare reazione, potrebbe capire molto dei nostri gusti. Occorrono pertanto normative adeguate a proteggerci da intrusioni dalle quali potrebbero derivare violazioni dei diritti umani. In questa ottica, il GDPR, il nuovo regolamento sulla privacy, pone limiti alla raccolta di dati biometrici, regolamentati nell’art. 9, comma 4, il quale prevede che per i trattamenti relativi ai dati biometrici e genetici sia sempre necessario il consenso, salvo che la legge nazionale, per motivi di rilevante interesse pubblico, sanitari o di ricerca scientifica, storica, archivistica o statistica, non disponga altrimenti. Pertanto, attualmente, per il trattamento elle immagini a fini di riconoscimento facciale delle persone al di fuori delle finalità di polizia e giustizia, e dunque con trattamenti chiaramente riferiti a dati biometrici, è necessario senza dubbio il consenso dell’interessato.