“IL FUTURO DELLE IMPRESE? È NELLA CAPACITÀ DI INTERPRETARE IL MERCATO GLOBALE”
Possibilità di apertura al mercato globale, nuovi sbocchi occupazionali per figure tecniche altamente specializzate e un mercato dei sistemi di comunicazione in crescita: il mondo del lavoro sta cambiando e velocemente, le opportunità ci sono ma occorre avere la giusta interpretazione, ancor di più in un settore dinamico come quello dell’Information & Communication Technology. A parlarci di ICT, impresa e internazionalizzazione è Massimo Quizielvù, Country Manager Quanta Italia.
Quando è nata l’idea di aderire all’iniziativa e perché?
Uno studio Assinform-Netconsulting ha rilevato una flessione del mercato Ict pari al 4,4% nell’ultimo anno, stimando una perdita di circa 3 miliardi di euro rispetto al 2012. D’altro canto, però, studi condotti con metodologie e criteri differenti rivelano la costante evoluzione di questo mercato. Se Censis (febbraio 2014) annovera l’Ict tra i settori che richiedono ai lavoratori una costante evoluzione delle competenze, una nuova indagine del Politecnico di Milano riconosce nel mercato dei sistemi di comunicazione mobile il rimedio numero uno contro la crisi, prevedendo un contributo del 2,5% alla crescita del Pil da parte del solo mercato delle app e un veloce incremento dei posti di lavoro. Il Gruppo Quanta non a caso ha voluto in questi anni investire in una divisione specializzata come Quanta ICT assumendo in somministrazione o staff leasing. Un incentivo anche per le aziende della scena ICT che possono beneficiare di soluzioni a rischio zero ed avere garanzia di poter contare su specifiche competenze professionali. Infatti il settore Quanta Ict vive una forte crescita nonostante le difficoltà del settore.
Il Gruppo Quanta è presente da oltre un decennio a favore delle imprese: cosa differenzia la vostra metodologia di lavoro da quella dei competitors?
Quanta fin dall’inizio si è differenziata per 3 scelte: innanzitutto quella di non essere una società di servizi generalista ma di muoversi per divisioni specializzate – il settore di partenza e più importante è quello aerospaziale, seguito dalla filiera alimentare e dall’ICT – la seconda constiste nell’aver puntato fin da subito sulle competenze tecniche; la terza è l’aver realizzato direttamente scuole di formazione specialistica come quella sui materiali compositi, o sulle competenze meccaniche e aeronautiche, ed altre.
Imprese e internazionalizzazione: quale la migliore soluzione per il nostro Paese?
Le imprese italiane, oggigiorno, devono essere consapevoli che tranne in pochi settori dove il business è di prossimità, il presente e il futuro consta nella capacità di interpretare il mercato a livello globale, abbandonando il limite dei confini meramente nazionali. Il nuovo valore aggiunto sta proprio nella buona interpretazione della globalità, e le imprese che vogliono avere respiro devono internazionalizzarsi. Da questo punto di vista l’Italia ha una grande forza: capacità e flessibilità nel trovare soluzioni che ci contraddistinguono. Questo è sicuramente un plus per quelle imprese che vogliono internazionalizzare, anche se in alcuni casi devono superare la mancanza di organizzazione e concretezza tipicamente italiana. Inoltre, le nuove tecnologie stanno giocando un ruolo fondamentale perché in molti casi hanno eliminato i processi di intermediazione. Molte delle imprese nazionali hanno basato il posizionamento del proprio brand su questo processo come valore aggiunto e ora vivono il rischio di perdita dello stesso. Quanta fin dalla sua nascita ha fatto la scelta culturale di cercare e intercettare il mercato globale spostando la propria attenzione verso l’alta specializzazione e abbandonando, ad esempio, il mercato generalista. Fin dall’inizio ci siamo fatti conoscere per il forte know how nell’ambito delle attività aerospaziali e la grande disponibilità e capacità di intercettare e formare figure professionali del settore eccellenti e mirate alle specifiche necessità delle aziende clienti. Questo è stato un investimento che ha portato a dei risultati importanti visto che Quanta oggi è tra le prima 10 aziende di staff recruiting nazionali e vanta la propria presenza in diversi Paesi stranieri già da 2000: Stati Uniti, Romania, Brasile, Svizzera e ora sta vagliando nuove aperture in Europa, Nord America e Medio Oriente, nella fattispecie la Turchia.
Il tema dell’internazionalizzazione: in che modo influisce sull’organizzazione delle risorse interne di un’azienda?
Imprese e risorse umane nazionali hanno dimostrato di avere una forte carica di progettualità spendibile anche all’estero. Purtroppo questo discorso non è applicabile a tutte le nostre imprese, molte delle quali sono ancorate al concetto di impresa familiare che ha fatto la sua fortuna nel passato quando si accedeva più facilmente al finanziamento delle banche ma che oggi necessità di un’evoluzione. Molte imprese infatti sono fallite perché il capitale investito era esiguo rispetto alle loro necessità patrimoniali e nel momento in cui hanno trovato maggiori limiti nell’accedere ai finanziamenti degli istituti bancari hanno perso la loro copertura. Al contrario bisogna rendersi conto che la realtà lavorativa soprattutto all’estero è fatta di una grande varietà e rigidatà contrattuale, per cui l’aspetto della solidità finanziaria non è improvvisabile né trascurabile. Per questo Quanta si propone da sempre alle aziende sia con servizi sia sul versante giuslavoristico sia su quello organizzativo e il Gruppo copre tutta la filiera della gestione delle risorse umane: dall’impiego temporaneo, alla formazione, alla ricerca e selezione di personale diretto, fino ad arrivare allo staff leasing o ai servizi di distacco internazionale.
Le nostre scuole preparano adeguatamente alle nuove richieste da parte delle imprese?
Ahimè ancora oggi si punta spesso nelle nostre scuole su conoscenze che dovrebbero essere date per scontate. Come la conoscenza delle lingue straniere che non dovrebbero rappresentare delle competenze aggiuntive solo delle condizioni preliminari che avvantaggiano la possibilità di accedere a determinate opportunità. Inoltre, in Italia ci sono degli ottimi tecnici ma spesso manchiamo di formazione specifica in ambiti di settore e le nostre scuole non riescono a stare al passo con i tempi. Ad esempio Quanta ha dovuto organizzare in sinergia con un cliente un corso di formazione per la lavorazione dei materiali compositi perché non si riusciva a reperire personale formato in tal ambito. Tant’è che abbiamo creato la prima scuola di formazione per operatori di materiali compositi, figure che in seguito siamo riusciti ad allocare anche all’estero dove c’è grande richiesta. Il pubblico non sempre riesce a intercettare le reali esigenze delle imprese e dei nuovi mercati e quindi risponde non adeguatamente. In Quanta esiste una divisione che si occupa esclusivamente di formazione ricorrendo a fondi pubblici ma anche e sempre più spesso a fondi di realtà private che ci chiedono di formare il loro stesso personale.
I manager italiani sono in grado di competere adeguatamente con i loro competitor stranieri?
In Italia abbiamo grandi manager in grado di competere con i colleghi stranieri, spesso però si vede che gli stessi, soprattutto over 40 e 50, hanno scarsa propensione all’aggiornamento personale e lo considerano quasi un suppellettile. E non fanno formazione continua se non spinti dall’imprese, che non sempre ne intuiscono l’importanza. Questo è un limite tutto italiano, forse dato dal fatto che i nostri manager spesso si considerano arrivati e vivono con meno flessibilità la possibilità di spostarsi in altre aziende.