IBM: LA TRASFORMAZIONE COME CAMBIAMENTO CULTURALE INNANZITUTTO
Pierfrancesco Angeleri, intervistato da Logyn, ha parlato della mission e dei valori che hanno da sempre caratterizzato IBM e, conseguentemente, il suo lavoro. La sua è una lunga e prestigiosa carriera che ha abbracciato anche gli anni topici dello sviluppo tecnologico nel mondo e in Italia.
Nasce a Roma nel 1958 dove, attualmente, abita ed esercita la sua professione. Per lavoro trascorre lunghi periodi all’estero e risiede ad Amsterdam, Parigi e New York. Laureato in Ingegneria Civile Idraulica presso l’Università ‘La Sapienza’, Pierfrancesco Angeleri inizia la carriera professionale come consulente nell’ambito della progettazione strutturale. Entra in IBM nel 1985 come ricercatore presso il Centro di Ricerca Europeo per il Supercalcolo denominato ECSEC (European Center for Engineering and Scientific Computing). Dopo un periodo nella ricerca, nel 1993 entra nella divisione ‘Sales&Marketing’ di IBM dove ricopre diversi incarichi manageriali a Roma e a Milano. Nel 1998 viene nominato direttore generale della Divisione ‘Printing Systems’ per l’Europa con sede ad Amsterdam. Nel 2002 assume la guida della Divisione Prodotti Intel della IBM Europa con sede a Parigi. Torna in Italia nel 2004 dove ricopre diversi ruoli nell’ambito della Direzione Generale della IBM Italia. Diventa, in seguito, responsabile della Divisione Server, della Divisione SWG, per poi assumere nel 2008 la responsabilità della Divisione Piccola e Media Impresa. Dal 1 luglio del 2012 ricopre il ruolo di responsabile della Business Partner Organization.
Il suo percorso in IBM è indicativo: simbolo di fiducia nell’azienda. Ci racconta cosa hanno significato questi anni nella multinazionale americana?
Sono in IBM dagli inizi degli anni ’80: nasco e cresco in IBM, condividendone la mission aziendale… un vero e proprio pensiero culturale. Si può dire che sono un uomo ‘monoazienda’, anche se in realtà IBM è ragguagliabile a un macrocosmo, sia in termini di appartenenza geografica che di copertura di progetti, iniziative, prodotti. Questa specificità mi ha permesso di diversificare le esperienze professionali, consentendomi nel contempo una crescita di competenze anche a livello manageriale. Infatti, pur provenendo da una formazione prettamente tecnica, sono entrato in azienda come ricercatore per poi svolgere una carriera di natura commerciale. E ho potuto ricoprire diversi ruoli in tutti i settori: dalle soluzioni software, all’ambito servizi e ai diversi filoni di industria per i quali IBM opera. Negli ultimi anni mi sono impegnato, inoltre, nel sostegno a progetti nell’ambito della ‘Corporate Social Responsability’. Questo peculiare percorso professionale mi ha fatto crescere significativamente.
In base alla sua esperienza personale, quanto è cambiata IBM negli anni?
L’IBM ha cent’anni di storia, della quale io copro un pezzetto di 30 anni. Segmento di tempo ad ogni modo rilevante, perché caratterizzato da grandi trasformazioni: tecnologiche innanzitutto, ma anche economiche e sociali a livello globale. La società è cambiata in questi anni a livello internazionale, e si è reso necessario spesso non rimanere ‘rigidi’ nelle idee ma mutare per adeguarsi alla nuova dinamicità generalizzata. Una trasformazione soprattutto di pensiero, direi ‘culturale’.
Oggi ricopre un incarico importante nella Business Partner Organization: cosa significa essere business partner IBM?
Oggi il BP (business partner) è un vero e proprio partner di lavoro: rappresenta IBM nella propria area geografica e opera portando ai clienti prodotti IBM, integrandoli con le proprie competenze e le personali soluzioni. Quindi, il BP non è più semplicemente un fornitore ma è un’azienda ‘operante’ che risolve i problemi di un cliente, ricevendo da IBM anche tutta una serie di attività di supporto. Questa peculiarità differenzia i BP IBM da quelli di altri brand sul mercato. Perché in questo nuovo modo di concepire il ruolo è sotteso anche un cambiamento di visione che IBM incoraggia: oggi, infatti, nessun consumatore compra più prodotti, ma ‘pezzi’ che vanno a soddisfare precise esigenze evidenziate all’interno dell’organizzazione. Questo vale ancora di più quando si acquistano tecnologie: quello che serve sono ‘soluzioni integrate’ che mettono insieme quei pezzi per soddisfare le esigenze del cliente. Un importante passaggio ‘culturale’ e materiale rispetto al ciclo di vendita di 15 anni fa.
E la trasformazione delle imprese e dei bisogni delle stesse negli anni come è avvenuta? Si può parlare anche per loro di cambiamento ‘culturale’?
Oggi, soprattutto le PMI vivono un momento di profonda evoluzione: agli inizi del 2000 si vedeva la trasformazione come un processo discontinuo, che avveniva una volta aprendo di seguito un periodo di stabilità. Nel tempo le fasi di cambiamento e di tranquillità si sono sempre più compattate, per arrivare, con la crisi del 2008, a una trasformazione persistente. Quindi, il concetto del cambiamento è diventato in ogni impresa un elemento imprescindibile, direi vitale, per restare in buona salute all’interno del proprio business, portando, nel contempo, a vivere come in un costante cantiere aperto per non essere emarginati. Così le PMI guardano all’innovazione e al futuro. Non a caso, le imprese che sono riuscite ad avere successo sono quelle che hanno al proprio interno un’unità vocata a individuare quello che deve accadere ‘dopodomani’: con la ricerca, con indagini di marketing, con sistemi di analisi, etc. Un’attività che deve essere riconosciuta all’interno della struttura aziendale, capace di intercettare e comprendere gli andamenti dei fenomeni di mercato, individuando le risorse interne disponibili da impiegare. Inoltre, da segnalare che le Piccole e Medie Imprese che hanno avuto maggior successo sono quelle che hanno svolto alcune operazioni di ‘igiene’, ovvero che hanno tracciato una mappa dei propri processi secondo metodologie di ‘process engineering’ stabilendo una organizzazione ben definita con ruoli e responsabilità.
I processi aziendali secondo lei diventano in questa nuova era industriale una leva sintomatica di trasformazione aziendale?
Direi di sì, anche se la maggior parte delle PMI da sole, oggigiorno, non è in grado di mappare i processi senza dotarsi di strumenti e know how adeguati. E se a fine ’800 la grande evoluzione è stata segnata dalla meccanizzazione dei processi di produzione, oggi è l’IT che permette l’automazione di questi e altri processi – basti pensare alla gestione della contabilità. L’IT è una fabbrica che ingegnerizza operazioni concatenate, ma da sola non ha senso e necessità della definizione di modelli, così come lo stesso computer da solo non ha senso ma ha bisogno di programmi per funzionare. Quindi, l’IT diventa sempre più uno strumento al servizio dell’efficientamento dell’azienda: la rende innovativa e permette – si pensi ai big data – di ottenere intelligenza dai propri dati. A tal proposito l’Italia è nettamente indietro rispetto alla media europea, nonostante ci siano anche diversi casi di aziende che hanno saputo sfruttare l’IT per implementare il proprio business. Oggi, solo dove abbiamo un’azienda fortemente padronale riscontriamo ancora maggiore difficoltà.
Aziende e BP nel periodo della trasformazione stanno creando allora un nuovo rapporto…
Per esperienza posso confermare quanto oggigiorno sia necessario ‘raccontare’ che è determinante fare il salto ‘culturale’ e ripensare i modelli organizzativi per implementare il proprio business. Ed il BP è il compagno ideale per far questo. Così, mentre è banale vendere tecnologie ad un’azienda che ha compreso il valore del cambiamento, perché lei stessa è driver nel volere innovazione; al contrario, quando si dialoga con quelle realtà che non danno alcun valore all’IT occorre sostenerle principalmente nello sforzo di un salto ‘culturale’. IBM assieme ai partner cerca di spiegare alle aziende perché devono cambiare culturalmente, ovvero modificare le organizzazioni come anche i processi. Poi l’informatica consegue. I nostri partner sono, allora, agenti di cambiamento e possono prendere spunto dalla grande trasformazione che la stessa IBM ha fatto, a partire dal ’93, diventando improvvisamente azienda di servizi, di ‘middle software’, e divenendo nel contempo transnazionale.
Globalizzazione e prossimità: un binomio sempre più stretto ma determinante anche per il BP.
Nel ragionamento fatto il concetto di globalità è sempre rimasto sottinteso, eppure il ruolo della prossimità e della geografia resta comunque fondamentale. Non bisogna credere che il locale abbia in questi anni un valore limitato. IBM è profondamente convinta che il ruolo del partner sul territorio locale sia importante ed abbia un futuro ancor più rilevante. Perché il BP, una volta diventato esso stesso convinto sostenitore e portatore di rinnovamento, deve continuare a operare con strumenti come prossimità, contatto, capacità di comprensione degli ecosistemi, che sono locali e nel contempo trasversali. Perché le imprese operano all’interno di confini geografici definiti, anche se con uno sguardo che va al di là dei confini. E il contatto ‘de visu’, con un professionista che appartiene al suo ecosistema resta per il cliente la scelta migliore per aprire un dialogo e un rapporto.
Secondo lei quale potrebbe essere il successivo sviluppo della componente IT? Cosa accadrà dopodomani?
Lo sviluppo dell’IT dipenderà da quanto noi – sistema che sviluppa e promuove l’IT – saremo bravi a spiegare quanto l’information technology può aiutare le aziende a svilupparsi. E la via è quella del narrare il cambiamento dei processi e la trasformazione. Quindi, oggi dovremmo cambiare testa, adeguare il management e modificare le organizzazioni e i processi. L’ICT, nel 90% dei business, è lo strumento primario di questa nuova automazione. La fabbrica immateriale oggi è una realtà sempre più essenziale, perché la componente di ‘immaterialità’ che c’è oggi nei processi produttivi rispetto 20 anni fa è quadruplicata.
Il futuro e il ricambio generazionale
Nell’epoca attuale, poi, è fondamentale accompagnare e governare il ricambio generazionale: la capacità innovativa di un giovane è di grande rilievo. E nel mondo di oggi i giovani sono i veri portatori di rinnovamento, mentre spesso l’esperienza diventa solo un’ancora che ferma lo sviluppo. Oggi il ‘mestiere’ conta meno rispetto allo sguardo proiettato al futuro dei giovani. Le aziende dovrebbero investire in questa risorsa naturale, e demandare loro sempre più responsabilità.