Green economy: un semino per coltivare la (ri)occupazione
Esiste un’economia che persegue l’ambizioso obiettivo di smuovere lo stallo occupazionale del nostro Paese: è la green economy, che accende l’interesse verso nuovi mercati “sostenibili”, a cavallo della quale sono nate nuove aziende e figure professionali che offrono sbocchi operativi accattivanti.
Convertire il modo di lavorare di un’azienda o di un lavoratore è più oneroso e impegnativo rispetto ad avviare una start up o formare ex novo professionisti. La situazione economica attuale obbliga però i Paesi sviluppati, ove la manodopera non può essere competitiva, se fine a se stessa, a ricercare nuove soluzioni per affrontare il mercato. Oltre alle iniziative imprenditoriali, risulta necessario spendere qualcosa in più in termini di tempo e denaro per riconvertire le vecchie attività e modificare gli skills di chi opera in percorsi produttivi obsoleti.
La sopravvivenza delle aziende e il loro sviluppo passano da un maggior rispetto del territorio e dei vincoli che il legislatore impone. Queste esigenze hanno partorito nuove figure professionali che pian piano sono diventate ricercatissime. Gli head hunter notano infatti un interesse crescente per biotecnologi, amministratori del territorio, legali esperti di green law, paesaggisti, tour operator specializzati nei viaggi sostenibili ecc. Tutte queste posizioni potranno essere ricoperte da giovani professionisti formati ad hoc, ma anche da personale che pensa a riciclarsi tramite precipuo percorso ri-formativo.
La green economy, quindi, non fa bene solo all’ambiente, ma anche all’occupazione. È indubbio infatti che la soluzione al problema occupazionale passi per 2 tipologie di interventi, da avviarsi congiuntamente: la creazione delle condizioni tali perché le imprese possano lavorare e quindi assumere; la previsione di specifiche agevolazioni finalizzate ad alleggerire il costo del lavoro. Se la prima condizione trova sicuramente conforto – leggi e pensiero sostenibile spingono la tendenza ambientalista – le riduzioni del costo del lavoro si sono arenate nel pensiero del legislatore senza trovare traduzione operativa.
Tale comportamento obbliga le aziende a ricercare i diversi incentivi polverizzati in ambito territoriale – soprattutto le Regioni si dimostrano sensibili al tema – oltre a sfruttare le agevolazioni vigenti per le assunzioni comuni applicabili a tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore di appartenenza.
A tal proposito segnaliamo che la Regione Veneto con DGR 875 del 4 giugno 2013 ha finanziato 4 specifici progetti di mobilità in collaborazione con alcuni istituti scolastici, finalizzati all’avviamento di tirocini della durata di 3 mesi legati ad attività di green economy, sostenibilità e turismo culturale. Iniziative lodevoli, anche se isolate, che hanno permesso la definizione di 5 contratti oltre confine per altrettanti giovani connazionali.
Molto spesso le persone che si avvicinano ai settori green sono proprio i giovani che, oltre a rappresentare un’ampia fetta dei disoccupati del nostro Paese, conservano ancora il tempo utile per completare le proprie competenze. Come impiegare quindi questi lavoratori agevolandone l’ingresso pur in assenza di interventi mirati? L’attenzione deve necessariamente spostarsi sui contratti agevolati in genere. Sarà possibile inserire nella green economy giovani tramite lo stage o tramite contratti di apprendistato o con le nuove attenzioni rivolte dal Job act al contratto a tempo determinato.
Qualora l’azienda interessata dovesse rientrare nel concetto di start-up, qualificazione possibile anche nei settori sostenibili, fruirebbe di specifiche agevolazioni legate al mondo dell’occupazione. Volendo tirare le somme, possiamo affermare che il verde continua a rappresentare la speranza, anche con riferimento alla risoluzione del cronico problema del lavoro. Un cenno concreto da parte del legislatore conferirebbe infine linfa al pensare positivo, permettendo al verde dell’economia di mutare…da speranza a certezza.