FUGA DEI TALENTI: COSÌ SI RISCHIA DI PERDERE L’INVENTIVA MADE IN ITALY

FUGA DEI TALENTI: COSÌ SI RISCHIA DI PERDERE L’INVENTIVA MADE IN ITALY

Sergio Nava, giornalista di Radio 24, è stato uno dei primi in assoluto a mettersi ad indagare sulla fuga dei cervelli italiani. Infatti, nel 2009, quando di tali movimenti ancora quasi non si parlava, è stato il primo a scrivere un libro intitolato “La fuga dei talenti” sul fenomeno dell’espatrio dei giovani professionisti italiani. Da allora ha continuato a monitorare la situazione e a raccontarla, giorno per giorno, sul suo blog (fugadeitalenti.wordpress.com) e nel programma “Giovani Talenti” in onda ogni sabato su Radio 24.

Stiamo esportando all’estero la creatività italiana a causa del fenomeno della “fuga dei talenti”. Come è cambiata la situazione in questi anni?
Da un fenomeno molto grave in epoca pre crisi è diventato con la crisi un fenomeno molto più ampio numericamente e anche diverso. Prima eravamo di fronte ad un espatrio di personale altamente qualificato, e quindi di persone molto istruite con laurea e dottorato. Con gli anni la distinzione si è persa: a tentare la sorte all’estero c’è una forbice più ampia, anche di età e titolo di studio. Sono persone che tentano la fortuna. Si è persa, quindi, la caratterizzazione dell’epoca pre crisi. Emigrano anche gli over 40.

Fuga e crisi: che rapporto esiste in questo periodo? La gente, oggigiorno, espatria solo per effetto della crisi?
I colpi portati da questa recessione in Italia hanno senz’altro messo in difficoltà il tessuto sociale. Ed è chiaro che se prima c’era una maggiore consapevolezza quando si andava all’estero, adesso a parer mio c’è la sensazione di voler tentare la sorte. Londra, ad esempio, nel bene e nel male, è diventata la capitale mondiale degli italiani che cercano un futuro all’estero. C’è chi va con preparazione linguistica e un’adeguata formazione e competenza e c’è chi, invece, ci va perché in precedenza ci è andato qualcuno che conosceva e quindi pensa di avere un aggancio e spera di poter fare qualcosa. Magari per queste persona la strada è molto più in salita.

Secondo te, si tratta di una nuova ondata di emigrazione come negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra?
Non c’è uno specifico mainstream: la “fuga” interessa diverse componenti. C’è chi va con la famiglia e va con l’idea di mettere radici, c’è chi va solo per fare esperienza limitata nel tempo con la volontà di tornare nel breve periodo e, come ho già detto, c’è chi va tentando la sorte. C’è un po’ di tutto. Il vero problema è tornare indietro, poi.

I talenti che vogliono rientrare nel nostro Paese trovano delle difficoltà? E, poi, l’Italia è ancora appetibile?
La maggior parte delle persone che emigrano vorrebbero rientrare, perché questa è una caratteristica comune a molti. È vero che finché la situazione economica non si sblocca davvero è difficile tornare. Inoltre, non c’è tuttora la volontà di un cambiamento radicale di mentalità nel modo in cui valorizziamo un talento, sia come ricompensa economica sia come prospettiva di carriera e di crescita. Per questi motivi l’Italia sarà sempre meno attrattiva di altri Paesi. Ancora non si è capito che per il futuro bisogno puntare su 3 elementi chiave: innovazione, internazionalizzazione e capitale umano. Bisogna aumentare la percentuale di aziende che hanno recepito epidermicamente queste tre priorità.

In questo Paese i portatori d’interesse sono consapevoli di dover fare di tutto per mantenere in Italia le nostre eccellenze?
A parole tutti si dichiarano d’accordo nel volere e dovere trattenere questi talenti. Però poterlo fare implica una cosa che in pochi fanno, come perdere in parte dei privilegi. Perché i talenti non restano a giocare a tetris, ma vogliono assumere posizioni di comando e prendere le redini della situazione. Questo crea una grossa difficoltà ad una classe garantista, che non è emersa per motivi di talento, ma per altri che ben conosciamo. Loro hanno posizioni che sicuramente non vogliono perdere e quindi non si prodigano per lasciar spazio a vere eccellenze. Quindi, c’è una difficoltà che riguarda il trattamento economico, ma anche una che riguarda la mentalità imperante. Noi dobbiamo agire su entrambi i punti: qualcosa prima o poi dovrà muoversi.

Quali sono le principali differenze che trovano le persone che scelgono, oggi, di andare a lavorare fuori dall’Italia?
Prima di tutto, all’estero trovano lavoro e questa è la prima differenza. Poi trovano canali di selezione trasparenti mentre in Italia il processo è quasi sempre molto opaco. Inoltre, hanno la possibilità di sviluppare al meglio i loro percorsi professionali, incontrano una maggiore attenzione ai risultati raggiunti e una vera meritocrazia. Tutto questo significa carriere più veloci e, comunque, più soddisfacenti. L’Italia, invece, è un Paese bloccato, non solo dalla situazione economica ma anche dai modelli sociali. Gli ordini professionali, tanto per fare un esempio, sono tra i più forti fattori di freno ad ogni cambiamento. In Italia, in questo momento, manca la capacità di introdurre il merito come criterio unico di entrata nel mondo del lavoro, ma questo a tutti i livelli: da quello imprenditoriale a quello, universitario ma anche politico. E manca la capacità di valorizzare, soprattutto i giovani, che rappresentano una risorsa di innovazione e creatività importante.

Alla luce di tutto questo, che cosa bisognerebbe fare in Italia per cambiare una situazione ormai insostenibile?
In realtà in Italia tutti dovrebbero, ormai, sapere che cosa servirebbe per migliorare la situazione. Ma bisogna agire rapidamente e bene, mettendo in campo alcune misure drastiche e chiare. Come ad esempio arrivare ad una diminuzione del cuneo fiscale che dovrebbe corrispondere un aumento degli stipendi perché è fondamentale puntare sulla gratificazione di coloro che producono di più e lavorano meglio. Come bisognerebbe fare una riforma del lavoro che preveda ammortizzatori sociali veri e un cambiamento nel tessuto industriale italiano: ovvero aiuti a chi innova. Dipende tutto da noi: sicuramente bisognerebbe fare delle riforme importanti e strutturali che aprano l’Italia al mondo e la rendano innovativa. Chi ha innovato, da noi, lo ha fatto per conto proprio, senza incentivi di nessuno tipo. Per quanto riguarda i modelli: anche attraverso un’economia più dinamica e vivace rendere l’Italia un Paese di attrazione di capitale umano qualificato sia italiano di rientro che estero. Bisogna fare in modo che qui vengano persone a mettere radici, a fare impresa e queste persone, poi, creeranno il cambiamento inevitabilmente. La vera questione è quella di far cambiare pelle alla classe dirigente italiana. Bisogna arrivare a superare, anche alle nuove generazioni, i modelli culturali sbagliati. L’importante è scegliere dove investire senza farsi più influenzare da fattori politici e logiche clientelari. Certo ci vuole coraggio ma questo tipo di scelte sono fondamentali. Ripeto, bisogna decidere chi aiutare e non sprecare risorse con chi è già fuori dal mercato.

Se questi talenti restassero, invece di tentare la fuga: cambierebbe qualcosa?
Ci sono delle realtà positive in Italia, come le start up. In questo caso vale la pena restare nel Paese. Sono realtà internazionali che hanno un ritmo e cultura diversi. Chi riesce ad entrare in questi mondi o a crearli facendo impresa, fa bene a restare e a investire. Chi invece non ha l’occasione o si scontra con porte chiuse in faccia, è giusto che vada altrove a coltivare il proprio talento. Ad ogni modo se si ha la possibilità di studiare o lavorare per un certo periodo all’estero ben venga, perché la cultura italiana a volte si presenta come troppo ‘provinciale’: non parlo della cultura alta che ancora oggi è un modello, ma di quella dei modelli medi. Quindi, non avere una visione internazionale spesso ci fa portare appresso una zavorra.

Quali sono i Paesi stranieri di maggiore attrazione?
Sicuramente oggigiorno Gran Bretagna, Germania e Svizzera. E in generale i Paesi del nord Europa. Sono interessanti anche la Francia – anche se presenta delle difficoltà – gli Stati Uniti d’America e l’Australia. La Cina ha vissuto un boom nell’ultimo decennio ma è un Paese che pone delle grandissime sfide.

La creatività italiana viene apprezzata maggiormente all’estero che in Italia?
Ahimè spesso sì, la creatività italiana viene apprezzata maggiormente fuori dal nostro Paese: soprattutto quella capacità di trovare soluzioni fuori dagli schemi, tipico della nostra cultura. In casa, è più difficile perché entrano in gioco due fattori: il primo che si è italiani tra italiani, e non si può spendere la carta dell’elemento “straniero”, e poi nel Paese negli ultimi anni c’è stata la tendenza a instaurare una certa cultura “conservatrice” che ha soffocato tutto ciò che è nuovo e diverso. Anche se è vero che con la crisi, a passi lenti, sono stati messi in discussione i modelli vecchi a favore di nuove “strade” più creative e innovative.