Federico Ferrazza
Facebook: l’edicola dove comprare il giornale
di Dora Carapellese
L’evoluzione digitale dei mezzi di informazione secondo Wired.
“E tu sei un utente casuale o brandizzato?”. Federico Ferrazza ha un’idea ben precisa e la racconta attraverso questo viaggio fatto con Logyn in cui il digitale fa da padrone nell’evoluzione dell’informazione. “Facebook è l’edicola delle news, la ‘civetta’ per intenderci, che fa decidere se entrare a comprare il giornale o meno”.
Partiamo da te: qual è stata la trasformazione digitale che hai avuto tu, come giornalista, dal tuo esordio?
In realtà non c’è stata una vera trasformazione digitale perché ho iniziato subito a lavorare per un giornale online. Ho seguito l’evoluzione, questo sì. È evidente che ci sono stati dei grandi cambiamenti, i due fondamentali legati alla 10 connettività, che riguardano un po’ tutti gli ordini di lavoro, sono stati una sempre maggiore velocità di internet da una parte e la possibilità di utilizzarla in mobilità dall’altra, un vantaggio non da poco se penso alla mia professione.
Qual è la diversità tra il lettore della carta e l’utente internet?
Premesso che le differenze dipendono dal tipo di giornale, mi sento di dire che è cambiato il modo di arrivare alla notizia, su internet il lettore arriva dai social network e dai motori di ricerca. Questo fa del lettore online, nella maggior parte dei casi, un utente casuale. Colui che legge in quel determinato spazio temporale la notizia non in base al brand ma alla necessità del momento. Il lettore digitale può mettere insieme nella sua dieta digitale contenuti che arrivano da diverse fonti. Diverso è il discorso dei media tradizionali, dove il lettore è più fidelizzato al brand, compra quel quotidiano perché è interessato alle firme, non tanto per i contenuti. Attenzione, però, questa non è una critica, è solo una constatazione del fatto che il giornalista deve tener conto di questi comportamenti se vuole attirare l’attenzione dei due lettori.
Le attività digitali e gli eventi rappresentano l’80% del fatturato di Wired, cosa state facendo per andare incontro al sempre più esigente e veloce lettore di internet?
Si cerca di catturare l’attenzione conoscendo le abitudini del lettore, il quale arriva alla notizia dai motori di ricerca e dai social network, e attraverso il cellulare. Pertanto dal nostro punto di vista è più importante curare la pagina Facebook che la home page del sito.
Con l’avvento di internet c’è stata una diminuzione fisiologica del lettore della carta: come è cambiata la vostra strategia di engagement nei suoi confronti?
Wired nasce in Italia nel 2009 nel bel mezzo dei social media, quindi per noi è stato naturale buttarci sulla cura della comunità social, perché è da sempre il nostro primo contatto con il lettore. Abbiamo sperimentato positivamente anche l’off line con il Wired Next Fest che raccoglie i nostri lettori dando la possibilità di rendere concreto il network social, inoltre, costituisce un importante momento di informazione e di intrattenimento che ci ha dato un ottimo feedback da parte del pubblico.
Qual è il ruolo dei social network nell’editoria?
Oggi la maggior parte delle persone sono connesse a internet e i social network sono dei luoghi dove i giornali devono stare, perché grazie a questi promuovono i propri contenuti. L’articolo di un giornale o fa nascere una discussione o è parte di una discussione. Oggi non essere sui social network per un giornale è come stampare 100.000 copie e non venderle attraverso le edicole.
Siamo nell’era dell’iper-informazione: come si evita di stare tutti nello stesso calderone?
Trovando un tono di voce diverso, e sicuramente cercando di essere originali. Certo non premia nel breve periodo, ma nel lungo periodo si crea un brand distinguibile e di qualità, che attira sia il lettore che gli investitori. Se io facessi un giornale uguale ad un altro guarderei solo il numero di utenti e il costo. Se io faccio un giornale con una certa personalità ho anche dei valori che in termini economici possono essere capitalizzati.
Quali sono i benefici dell’era digitale?
Io penso che non siamo assolutamente schiavi delle tecnologie. L’era digitale ci sta dando la possibilità di essere informati di più rispetto al passato. Un’altra caratteristica che trovo fantastica è poter ascoltare le persone. Un grande valore che permette di prendere delle decisioni importanti su come costruire un prodotto sapendo quali sono i gusti del tuo target, oppure scrivere dei contenuti di un giornale secondo i gusti del lettore. Non solo, esiste anche la possibilità di poter controllare la notizia, penso al grande filone nato con internet come il giornalismo antibufale, oggi fortunatamente è possibile. Prima dell’avvento dell’informazione online il lettore aveva poche possibilità di verifica della notizia.
Con le testate online il giornalista deve seguire regole diverse da quelle apprese nella vecchia scuola, quali sono le caratteristiche che cercate in un giornalista oggi?
Beh, sicuramente oggi il giornalista deve conoscere molto bene i mezzi. Una delle grandi differenze tra la rete e l’analogico è che, quando scrivo un articolo per il cartaceo, questo è finito quando va in stampa, se invece lo pubblico sulla rete inizia quando va online. I colleghi che scrivono per la rete devono sapere che l’articolo avrà ripercussioni sui social, che dovrà essere aggiornato e che, avendo un vasto pubblico, potrà anche essere messo in discussione. È uno stimolo in più per scrivere articoli di qualità.
Come è cambiato il modo di fare notizia?
Il modo di fare notizia non è diverso, però il modo di raccontarla sì. Ci serviamo dei video oppure di format testuali come le liste, o la costruzione di titoli che vengono fatti in maniera tale da essere trovati sui motori di ricerca.
Come vedi il lettore fra 10 anni?
Difficile dirlo, dieci anni fa non avrei mai detto che Facebook avrebbe cambiato molte cose. Quello che mi sento di dire è che le persone si informeranno sempre più sul digitale, questo anche per una questione anagrafica. Il lettore mobile sarà sempre più frequente. Penso che non ci sarà una strage del giornalismo perché la gente ha bisogno dell’informazione. La carta fra 10 anni ci sarà ancora, anche se sarà destinata a perire perché diventerà un affare in perdita. Confido in nuovi modelli di business che faranno crescere l’informazione su nuovi orizzonti.