ESPLORARE LA STORIA PER CONOSCERE CHI SIAMO
di DORA CARAPELLESE
Il passato ci è servito per correggere gli errori della storia? Il principio di libertà è davvero trionfato sulla schiavitù? L’uomo si è finalmente reso conto di essere artefice dei suoi misfatti? Con Canfora attraversiamo un po’ di storia per sapere quanto l’uomo si sia evoluto.
Lei è un profondo conoscitore della storia antica: in che modo la conoscenza e l’esplorazione di una lingua può aiutare a capire la storia e le origini della nostra civiltà?
Lo studio di una civiltà per essere valido deve fondarsi sulla conoscenza diretta dei documenti, anche se è inutile nasconderlo: tanti documenti dell’epoca sono stati tradotti e ritradotti, percui chi vuole farsi un’idea di quel mondo riportato nelle lingue moderne può cavarsela benissimo. Al contrario se invece intende svolgere una ricerca che porta delle novità alle conoscenze già disponibili, allora l’uso delle lingue come il latino, greco, ebraico, e forse anche sanscrito diventa indispensabile. Perché questo? Perché le lingue non si sovrappongono mai del tutto. Cioè non esistono delle corrispondenze perfette. Per esempio in francese “canaille” indica non solo una persona poco raccomandabile ma anche un ceto sociale reietto, in italiano invece pensiamo a persone sgradevoli e pericolose. Lo stesso vale per le lingue antiche. Le traduzioni devono essere corredate sempre da note, perché possano colmare i «silenzi del testo». Questo significa che per intendere bene i contenuti è necessario conoscere le lingue, questa è la ragione per la quale l’esplorazione e la conoscenza vanno di pari passo.
Qual è, secondo Lei, l’insegnamento più importante che la storia classica lascia a quella moderna e contemporanea?
In realtà non pensavano di lasciarci nessun insegnamento, siamo noi che abbiamo tratto degli spunti. Secondo me il nodo centrale intorno al quale ruota, non solo l’azione pratica ma anche la riflessione teorica e la ricerca storiografica degli antichi, è il conflitto tra libertà e schiavitù. Infatti, in quasi ogni norma del diritto romano, vengono ogni volta specificati gli effetti se si tratta di un libero o di uno schiavo. Da questa dicotomia è nata la scoperta filosofica dell’unità della natura umana (i sofisti per primi l’hanno rilevata), scoperta che mette in crisi alla radice l’istituto della schiavitù. È una questione che ci riguarda ancora direttamente, ed è quello che la storia antica ci ha lasciato
come modello e come monito.
Ci sono degli elementi comuni che si ripetono “da sempre” nel comportamento umano?
Abbiamo appena parlato di unità della natura umana. Ciò non vuole dire che è perfettamente immobile, perché in tal caso bisognerebbe immaginare delle idee innate, una sorta di predestinazione naturale. Tutto è storia, quindi anche i comportamenti umani. Dopo milioni di anni di esperienza della vita sul pianeta l’uomo ha alle spalle un accumulo, che gli studiosi chiamano accumulo coscienziale, quello che si è sedimentato nella coscienza e che noi crediamo sia un dato di natura ma che è pur sempre un dato storico. I comportamenti che si ripetono sono quelli legati all’egoismo, al difendere se stesso contro l’altro, che scatta purtroppo nella vita associata. Questo è un dato materiale poco rallegrante. La cultura, la riflessione, l’analisi filosofica, sono un correttivo. Non si nasce altruista ma si diventa, si nasce egoisti, non perché sia un’eredità genetica, ma perché da subito il rapporto con l’altro si risolve in questo orientamento di carattere prepolitico e istintuale.
Se Lei dovesse immaginare la storia di domani, come la descriverebbe?
Premetto che le previsioni negli scacchi non vanno oltre le tre o quattro mosse, vale a dire che i pronostici a lungo termine sono un po’ difficili. Bisogna basarsi sull’esistente. La storia che stiamo per costruire appare già segnata. Siamo di fronte ad una migrazione di popoli. Fenomeno che già si manifestò tra il secondo e l’inizio del sesto secolo. Fu allora il fenomeno principale: i barbari che migravano verso il mondo romano, e per quanto questo si sforzasse di trovare una soluzione, che fosse di inglobarli o di combatterli, alla fine l’esito fu che questi popoli sono diventati i soggetti di una storia nuova mescolandosi con quella precedente. È molto probabile che siamo all’inizio di una fase simile. La differenza è che i romani non avevano una superiorità tecnica militare agghiacciante da poterli annichilire. Noi, invece, viviamo in un’epoca in cui la potenza delle armi è davvero distruttiva. Uno scenario temibile è quello che intravide un grande scrittore americano Jack London nel suo libro Il tallone di ferro: “chi detiene il potere e la ricchezza, dinanzi ad un rischio globale di perderlo porta alla rovina tutti”. Questo può essere possibile proprio per la presenza di armi distruttive di cui alcune grandi potenze dispongono.
Qual è, secondo Lei, il contributo che la tecnologia ha dato alla storia?
Un notevole pensatore vivente, Emanuele Severino, martella sempre su questo tasto, che gli storici, gli studiosi, i filosofi, hanno trascurato: l’importanza della tecnica come asse portante della storia umana. Dalla scoperta del fuoco, alla ruota, al ferro, fino a quello a che abbiamo oggi, che quasi ci frastorna per la sua grandiosa evoluzione, imprevedibile solo qualche decennio fa. Uno degli effetti positivi nella seconda parte del ventesimo secolo del deterrente atomico è stato che non si sono fatte più guerre mondiali, da circa 70 anni. Le potenze europee hanno adesso un atteggiamento quasi verginale, di bontà infinita, non dimentichiamo che hanno portato alla catastrofe il mondo per ben due volte: tra il 1914 e il 1945 hanno fatto due guerre mondiali distruggendo tutto quello che era possibile. Questo non si è ripetuto più con la bomba atomica, poiché il pericolo è tale che avrebbe potuto portare alla distruzione dell’umanità. Anche i più feroci guerrafondai sono stati fermati dalla politica, dalla mobilitazione umana, dalla chiesa. La tecnica, in questo caso, è servita a dimostrare che non bisognava servirsene. Chi non si rende conto dell’importanza e centralità della tecnica è cieco.
Secondo Lei come il progresso tecnologico sta cambiando la nostra lingua e attraverso la lingua il nostro modo di conoscere e interpretare la realtà?
Intanto la tecnica fa nascere delle parole nuove, come diceva Machiavelli: quando entrano delle cose nuove in una repubblica, entrano anche delle parole. Le parole sono lo specchio delle cose, quindi la tecnica crea un lessico. Anzi, bisogna mettere ordine e creare lessici adeguati perché la tecnica venga resa accessibile a tutti.
Con la repressione in alcuni Paesi islamici si sta rischiando seriamente di non riuscire a costruire la loro storia, Lei cosa ne pensa?
Si è fatta avanti in modo allucinante una forma di radicalismo che ha presa in alcune aree del mondo islamico. Si propone di fare tabula rasa del passato degli altri. È recente la notizia della decapitazione dell’archeologo Khaled al Asaad, uno dei massimi esperti siriani di antichità e la distruzione di uno dei principali templi del deserto siriano. Questi mentecatti vogliono distruggere le tracce greco-romane perché le ritengono estranee all’islamismo e vorrebbero far partire la storia dall’anno zero con il loro Maometto. Le grandi potenze occidentali hanno delle colpe molto grandi, perché li hanno prima aiutati contro il socialismo arabo, e ora hanno perso il controllo e credo che non sappiano cosa fare. Adesso questi soggetti dispongono delle vite e delle tracce storiche di aree sempre più ampie. Lo vediamo noi in prima persona grazie ai moltissimi che fuggono e approdano in Italia.
Cosa avremmo potuto imparare dal nostro passato, che invece non abbiamo saputo cogliere?
La scoperta dell’unità del genere umano, i sofisti lo spiegarono molto bene. I Greci si sono scannati fra loro nella guerra del Peloponneso per trent’anni, Alessandro Magno conquista
l’Oriente e mescola i Greci e i Persiani: un grande disegno illuminato di un sovrano inquietante. È allora che il pensiero stoico riscopre l’unità del genere umano: nuovo colpo inferto all’istituto della schiavitù. Questa scoperta dell’unità del genere umano continua a rispuntare ma di fatto non ne facciamo tesoro. Avremmo potuto imparare dal passato ma non lo abbiamo fatto. Un’altra cosa che avremmo potuto imparare dalla tragedia greca è la responsabilità soggettiva: non c’è un altro che è responsabile delle cose che facciamo, siamo noi, la responsabilità umana nella sua interezza; un lascito importantissimo dal quale assai spesso rifuggiamo.
Qual è una scoperta, nel bene o nel male, che Lei ritiene più significativa nella lunga storia dell’uomo?
La risposta la diede Lucrezio, grande poeta romano. Di lui sappiamo poco o nulla, è vissuto al tempo di Cicerone. Abbiamo di lui un poema in cui si legge che da quando fu scoperta la proprietà privata cominciò il conflitto tra gli esseri umani.