ENERGIA, PASSIONE, SACRIFICIO: SPIRITO ITALIANO
La storia delle distillerie Nonino.
C’è un paese immerso nel verde, a pochi chilometri dal comune friulano di Pavia di Udine, si chiama Ronchi di Percoto. In questa piccola frazione inizia la storia dell’azienda che ha cambiato il destino del distillato più povero, la Grappa, trasformandolo in uno dei distillati più richiesti al mondo. Qui inizia la storia delle Distillerie Nonino, di Benito e Giannola. Famiglia ‘d’annata’, effige sincera di una vita vissuta con passione e determinazione a tutela del territorio e delle sue tradizioni migliori. Oggi i numeri parlano da soli: 15 milioni di euro di fatturato, 30 collaboratori, 5 distillerie artigianali.
Capitolo 1. Si legge, nei documenti dell’epoca, che nel 1897 si insediò a Percoto un certo Orazio Nonino e che lì stabilì la sede della propria distilleria esistita fino ad allora solamente sotto forma di un alambicco itinerante, montato su ruote. “Il nostro marchio rappresenta il simbolo degli alcoli così com’era nel Medioevo”, racconta con il sorriso certo Antonella, una delle tre figlie di Giannola e Benito, quinta generazione dei Nonino.
Capitolo 2. L’attività continua prosperosa, ma gli anni ’60 segnano una svolta ‘decisiva’: quando una giovane donna, caparbia e appassionata, Giannola Bulfoni, sposa Benito, l’erede della azienda. “Un colpo di fulmine, sentimentale e professionale”. Giannola, donna colta, intelligente e indipendente, arriva carica di un bagaglio di energia e amore per le proprie origini e per la propria terra, il Friuli. Una passione sincera, ereditata dal padre produttore di aratri, studioso di storia e civiltà rurale. Subito Giannola affianca Benito nella vita di tutti i giorni, divisa tra il lavoro e la famiglia, e nella missione che il marito sta portando avanti da anni: produrre una Grappa di altissima qualità che possa essere apprezzata dai palati più raffinati. E Giannola si butta in questa battaglia: comincia la rivincita di una coltivazione agricola pregna di storia e tradizione. La giovane donna inizia a ritagliarsi uno spazio personale all’interno dell’azienda: si occupa dell’acquisto della vinaccia contrattando direttamente con i viticoltori il costo della materia prima. Ci mette poco Giannola a diventare conosciuta ovunque. Ma non basta, moglie e marito sentono di dover lavorare per nobilitare e elevare la Grappa a prodotto di alto livello, realizzandone una in grado di competere con whisky e cognac. “Una bella sfida: perché la Grappa, agli occhi dei consumatori, era sinonimo di osterie paesane. Mia madre si rendeva conto che quel distillato così puro, portava con sé una cultura contadina che infastidiva, forse perché ricordava un passato di miseria e fatica. Lei, che proveniva da una famiglia di contadini e amava degustare sapori e odori della sua terra, si chiedeva perché la gente bevesse cognac francesi e non apprezzasse i frutti locali”. Per Giannola e Benito la Grappa è un prodotto straordinario da ritrovare; occorre, però, abbattere il pregiudizio nell’immaginario comune: “Bisognava puntare alla qualità del prodotto e della lavorazione, e anche sulla sua presentazione al mondo profano”. Arrivano in aiuto le instancabili ricerche di Benito sul metodo di lavorazione originario di questa produzione, ossia l’alambicco discontinuo artigianale. Perchè con questo sistema la materia prima può essere controllata a vista, a differenza di quello che accade nel processo industriale. E Benito ha ragione: la tecnica artigianale trasforma la vinaccia, se fresca e correttamente fermentata, in un liquido cristallino e profumato. Siamo a fine anni ’60, in questo periodo la maggior parte degli altri produttori passano da una distillazione artigianale a una industriale per aumentare la produzione e far fronte alla crescente richiesta di Grappa. Non i Nonino che restano fedeli alla qualità e al metodo artigianale discontinuo.
Capitolo 3. La strada per affermarsi, intanto, si mostra lunga e ricca di detrattori. Giannola e Benito non si danno per vinti e cominciano invece a lavorare sulla qualità della loro ‘sgnapa’ (grappa in dialetto friulano). Il primo dicembre del 1973 creano la prima Grappa Monovitigno® distillando separatamente le vinacce dell’uva Picolit, creando così un distillato unico e rivoluzionando il sistema di produrre la Grappa. “L’obiettivo restava migliorare qualitativamente la Grappa. I miei genitori iniziarono selezionando le vinacce di singoli produttori, per poi arrivare a sperimentare la distillazione di una singola varietà di vinaccia, per vedere se la Grappa prodotta esprimeva le caratteristiche originarie di quel vitigno. Decisero di iniziare l’esperimento con il Picolit, vitigno raro e nobile, tipico del nostro territorio; mia madre Giannola andò dai vignaioli a richiedere che la vinaccia del Picolit fosse separata dalle altre. E dal momento che questi non volevano saperne di perdere tempo a separare le vinacce delle diverse qualità di uva, chiese aiuto alle loro mogli. Promise loro un pagamento delle vinacce quindici volte superiore per avere la vinaccia del solo Picolit separata dalle altre e, in un’epoca in cui le donne non erano economicamente indipendenti, era una proposta veramente allettante”. Alla prima distillazione di Grappa Monovitigno® Picolit, i Nonino invitano a fare da padrino il giornalista enogastronomo Luigi Veronelli che a quei tempi teneva su Panorama una rinomata rubrica di enogastronomia. Veronelli dopo aver assaggiato la creazione di Giannola e Benito, la settimana seguente, pubblica l’articolo “Picolit, Picolit, che sgnapa!” decantandone le straordinarie qualità. È la svolta. “I nostri genitori si resero anche conto che la Grappa Monovitigno® Picolit era talmente unica che doveva essere riposta in un contenitore che sottolineasse la preziosità del distillato, e non certo nelle fiasche come solitamente si faceva con la Grappa tradizionale – perché tutti dovevano capire al primo impatto visivo che si trattava di un distillato speciale. Al rientro da un viaggio a Conegliano mio padre tornò con un’ampolla da 250 ml in vetro soffiato: era stupenda, attualissima ancora oggi e ci contraddistingue”. Il tappo è argentato, la bottiglia in vetro soffiato a mano, le etichette scritte a mano da Giannola.
“Al termine del periodo di riposo della Grappa Monovitigno® Picolit, quando finalmente si decise che era pronta per essere imbottigliata, mia madre addirittura pubblicò sul Messaggero Veneto un articolo che annunciava con orgoglio la sua presentazione in bottiglia e chiamò poi il famoso fotografo Aldo Baldo a immortalare questo momento. La prima produzione, però, andò completamente invenduta”. Il prezzo era proibitivo: ottomila lire (del 1974) per 250 ml, rispetto alle 2.500 di un bottiglione di grappa tradizionale da litro e chi l’aveva ordinata ritirò l’ordine accompagnandolo con una imprecazione. Allora Giannola, piuttosto che svendere quella Grappa superba, decise di offrirla in omaggio a personaggi noti dell’attualità e sommelier, coraggiosamente contattati, come Agnelli, Indro Montanelli, Marcello Mastroianni. E così, nel giro di una decina di anni, il Monovitigno® Nonino si afferma nelle più belle enoteche e nei migliori ristoranti d’Italia. Inoltre, Giannola si rende conto che per far comprendere le qualità del prodotto diventa necessario presentare la Grappa Monovitigno® offrendola personalmente in degustazione o in speciali occasioni, invitando il consumatore a venire direttamente in visita in distilleria.
Capitolo 4. L’anno successivo alla distillazione del Picolit, Giannola e Benito decidono di distillare altri vitigni friulani. Ricercando le vinacce degli antichi vitigni autoctoni friulani scoprono che i più rappresentativi – Ribolla, Schioppettino, Tazzelenghe e Pignolo – sono in via di estinzione, essendone vietata la coltivazione. Il 29 Novembre 1975, con lo scopo di farli ufficialmente riconoscere dagli organi nazionali e comunitari, istituiscono il Premio Nonino Risit d’Âur (barbatella d’oro) da assegnare annualmente al vignaiolo che abbia posto a dimora il miglior impianto di uno o più di questi vitigni. “A quel tempo la CEE, aveva richiesto il censimento dei vitigni presenti sul territorio, le varietà più rare non erano state censite. Pertanto, non essendo riconosciute ufficialmente, non potevano essere commercializzate e venivano piano piano abbandonate”.
Nel ’78 i vitigni vengono finalmente autorizzati. I Nonino decidono in seguito di estendere il premio all’ambito letterario, per dare un riconoscimento agli scrittori italiani che promuovono la cultura contadina, e istituiscono così il Premio Nonino di Letteratura. A quest’ultimo si affianca nell’84 il Premio Internazionale Nonino da riservare ad uno scrittore straniero – il primo a ricevere il riconoscimento è il brasiliano Jorge Amado – e infine nel ’90 nasce il Premio Nonino dedicato ad un Maestro del nostro tempo. Tutti e quattro i premi sono nati e realizzati per la valorizzazione della civiltà contadina.
Capitolo 5. Il percorso dei Nonino non si ferma: nell’84 decidono di distillare per la prima volta il frutto intero dell’uva, creando l’Acquavite d’uva ÙE®, ottenendo dopo non poche difficoltà l’autorizzazione di tre diversi Ministeri: Industria, Agricoltura e Sanità. “Papà e mamma si sono trovati nelle cose importanti: l’importanza della famiglia e il lavoro che seguono con grande rigore e passione. Mia madre ha sempre perseguito il suo sogno: nobilitare la grappa, una produzione tradizionale legata alla cultura del nostro territorio, e farla apprezzare a livello internazionale. Ancora oggi imbottigliamo solo grappe e acquaviti distillate con metodo artigianale nei nostri alambicchi discontinui a vapore a Ronchi di Percoto e seguiamo in prima persona tutte le fasi della produzione per garantire la massima qualità del distillato. L’invecchiamento avviene nelle 1750 barriques di legni diversi custodite nelle nostre cantine padronali, senza aggiunta di aromi e/o caramello”.
Il 15 Novembre 1989 i Nonino impiantano in Friuli un proprio vigneto sperimentale di Picolit, Ribolla, Fragolino, Schioppettino e Pignolo, di circa 40 ettari, dal quale ricavano le uve per la produzione dell’Acquavite d’uva ÙE®, di qualità e caratteristiche senza eguali.
I Nonino e il territorio… “Alla fine degli anni ’60, per disciplinare la produzione di grappa friulana e tutelarne la specificità, l’associazione dei distillatori friulani decide di creare il consorzio della Grappa Friulana. Mia madre, invitata a farne parte, chiese che nel disciplinare di produzione venisse specificato che la Grappa, per chiamarsi Friulana, doveva essere prodotta con alambicco discontinuo da vinacce friulane. Il consorzio non inserì la richiesta e i miei genitori non vi aderirono. L’episodio esprime tutto il rigore e la volontà di non scendere a compromessi, che fin dall’inizio ha caratterizzato il modo di lavorare dei miei genitori e della nostra azienda”.