Daniele Chieffi – Il giornalismo tradizionale non è morto, anzi
Viviamo in una situazione di cross medialità e multicanalità molto spinta, in cui i media si influenzano
Gestire i media tradizionali in maniera integrata, come parti di un nuovo ecosistema è il pensiero di Daniele Chieffi, capo ufficio stampa digitale e social media manager di Eni. Il giornalismo o meglio le tecniche giornalistiche esistono perché sono alla base della comunicazione digitale. Pensare ai media (tv, stampa, etc.) in modo tradizionale li rende obsoleti, bisogna ripensarli con un nuovo posizionamento, poiché oggi ogni media è una risposta ad un’esigenza informativa diversa.
Delle tecniche di giornalismo tradizionale (quelle usate sul cartaceo) quanto è rimasto con l’avvento dei social network?
I social network sono una forma di comunicazione disintermediata, che mette in comunicazione il produttore dell’informazione con il pubblico. Sono media come i giornali e la televisione, con l’aggiunta, non da poco, che gli utenti possono interagire direttamente. Perché si riesca a interpretare i bisogni informativi del pubblico e soddisfarli con i giusti contenuti è necessario utilizzare le tecniche giornalistiche. Pertanto ribalto la tua domanda e dico che le tecniche giornalistiche non solo sono sopravvissute, ma sono diventate protagoniste del nuovo ecosistema digitale. I comunicatori sono diventati molto più giornalisti di quanto non fossero prima e i giornalisti hanno dovuto affinare le loro tecniche. Infatti i social network richiedono una comunicazione molto più raffinata di quanto non fosse accaduto prima su nessun tipo di medium anche e soprattutto perché sui social si gestisce l’interazione diretta con gli utenti.
Con il mondo on line siamo diventati tutti produttori di contenuti, molte aziende hanno le loro newsletter, un blog, un canale social. Quali sono i criteri per gestire al meglio l’informazione che si va a dare?
Dal punto di vista delle aziende, il criterio di base è l’ascolto, nel senso che dobbiamo partire dal presupposto che nei social network, le aziende non hanno una cittadinanza immediata, ma devono entrare in una comunità che le deve accettare, perché le community esistono e pre-esistono indipendentemente dalle aziende. Farsi accettare implica per le aziende la necessità di comprendere di che cosa abbia bisogno quel pubblico ed è l’unico modo per entrare in relazione con esso. Per la prima volta il potenziale cliente ha potere di feedback: può giudicare pubblicamente la soddisfazione dei suoi bisogni nei confronti di quella data azienda. Quindi deve esserci l’ascolto prima di tutto, per capire che cosa dare al pubblico. A monte dell’ascolto c’è un bagno di umiltà da parte delle aziende, che devono costruire la loro comunicazione non più solo su quello che loro reputano importante, ma soprattutto su quello che il pubblico richiede.
Come cambia il peso della verità di un’informazione data online rispetto a un’informazione data offline?
Il digitale ha un potere che l’offline non ha: quest’ultimo, infatti, è limitato al singolo media, che ha una capacità di presa limitata. Il digitale tecnicamente non ha confini geografici. Comunicare sul digitale significa assumersi una responsabilità maggiore, perché si comunica con un numero di persone molto più alto. Inoltre se sei un’azienda o comunque un soggetto considerato più affidabile dei media stessi, la responsabilità è maggiore. Per prima cosa, per una questione di etica, non bisogna tradire la fiducia riposta in te. In seconda istanza, un’azienda deve farsi accettare dalla comunità, quindi ha una responsabilità deontologica: deve costruire la migliore informazione possibile perché è suo interesse che questa sia realistica, affinché possa creare un rapporto con il suo interlocutore.
Per la corretta gestione di un canale social qual è la strategia di base da utilizzare?
Ascoltare e pensare sempre che non si è unici, ma parte di una comunità, quindi una strategia è quella di costruire contenuti di valore per la stessa comunità. La terza cosa fondamentale è rispondere in modo attento e umile nei confronti di tutti. Ogni persona che chiede qualcosa ha una necessità che l’azienda è tenuta a risolvergli se si è all’interno di questo ecosistema. Essere social vuol dire dialogare, non parlare e tradire una promessa.
L’importanza del video in una strategia di comunicazione on line?
Negli ultimi due anni, e nei prossimi, il video sarà protagonista. Sul web non si legge più, il testo è un orpello di un oggetto visuale: la colpa di questo è il device che ha uno schermo piccolo e rende difficile una lettura attenta. La scelta aziendale nei prossimi anni sarà orientata sempre di più sul video storytelling.
Cosa sono le media relations per un’azienda oggi?
È un concetto che si è allargato notevolmente. Se prima le media relations erano, per un’azienda, costruire una rete di relazione con i giornalisti, oggi sono la capacità dell’azienda di costruire una relazione con tutti i soggetti che sono in grado di influenzare il proprio pubblico di riferimento: giornalisti, influencer, blogger, opinion leader sulla rete, ovvero tutta quella gamma di interlocutori che il digitale ha creato o al quale ha dato capacità di voce, e con i quali va costruita una rete di relazione molto forte. In sintesi, se prima era più facile costruire un rapporto con il giornalista perché era un rapporto tra professionisti, (giornalista vs professionista, giornalista vs comunicatore), nel mondo del web si ha che fare con non professionisti che seguono regole libere, o comunque tipiche del digitale, pertanto si è costretti a reinventare una professione e soprattutto ad entrare in relazione con questi soggetti in modo completamente diverso.
Il web 3.0 ha portato con sé la possibilità di interagire con il proprio target: che da una parte è un bene perché ha annullato lo spazio fisico, dall’altra invece l’azienda è più vulnerabile agli attacchi mediatici. Come si può gestire una situazione di crisi che nasce dai social?
Le crisi per definizione si possono solo contenere. Se scoppia una crisi sui social, il massimo che puoi fare è pareggiare, perché spesso e volentieri vieni sconfitto nel senso che subisci un danno reputazionale. L’ideale sarebbe non far scoppiare la crisi e prevedere tutte le situazioni critiche possibili, ma non è semplice. Nel momento in cui ci si trova in una situazione del genere i consigli che mi sento di dare sono tre:
- capire quali sono le richieste che le persone stanno facendo rispetto alla discussione. Identificare questo primo trend e costruire in tempo reale delle risposte entrando in rapporto empatico con gli stakeholder;
- gestire il più possibile i flussi di informazione che creano malintesi, controbattere con un’informazione corretta prendendo una posizione ufficiale;
- non aver paura: entrare nei social significa essere esposti agli attacchi. Questi ultimi non sono negativi, diventa negativa l’incapacità di gestire le due cose di cui sopra. Se si riescono a governare questi due aspetti gli attacchi non sono lesivi.
In merito allo scontro tra ENI e Report avvenuto a dicembre 2015, si è parlato di una vera e propria rivoluzione dei rapporti tra diversi mezzi di comunicazione, ovvero tra TV e social. Pensate di aver contribuito significativamente a far comunicare in tal senso i due differenti canali?
Ci siamo presi un diritto di replica che un format televisivo non garantiva. Tecnicamente abbiamo pensato di entrare in un flusso narrativo dicendo la nostra. Abbiamo voluto contribuire alla completezza dell’informazione e non certo per mettere in discussione una trasmissione come Report. Mi sento di dire, però, che abbiamo contribuito a far comunicare i due canali e a mettere in crisi un’idea di format televisivo che pensa a se stesso e al medium televisivo come un silos isolato. Non c’è più un media isolato dall’altro. Viviamo in una situazione di cross medialità e multicanalità molto spinta, in cui si influenzano. Ciò che abbiamo contribuito a fare è stato ampliare un approccio cross mediale che già si è sviluppato sulla televisione di intrattenimento come Sanremo, per esempio, che ha una parte social molto spinta e noi in questo caso lo abbiamo fatto esplodere anche nella parte del giornalismo investigativo.
Il destino dei media tradizionali: convivenza con i canali digitali oppure finiranno nel dimenticatoio?
Non ci saranno media che finiranno nel dimenticatoio, perché ogni media è una risposta ad un’esigenza informativa. Il pubblico è portatore di un’esigenza informativa che contiene in sé lo strumento con cui questa esigenza deve essere soddisfatta. I media tradizionali continueranno nei media mix generali a cui noi ci rivolgiamo per essere informati. La carta stampata, come anche la televisione generalista, probabilmente diventerà meno centrale rispetto alla rete informativa. Ci rivolgeremo a ciascun media per un tipo di informazione diversa. Il problema non sarà la sopravvivenza in sé concettualmente parlando, quanto la loro sostenibilità economica; bisognerà cambiare le modalità di business che dovranno essere adattate a queste nuove piattaforme, che non credo scompariranno, ma cambieranno il loro posizionamento.