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Da Venezia al mondo

Da Venezia al mondo

Nato a Venezia nel 1960, Alberto Fiorin, scrittore e appassionato di bici, ama sfruttare l’energia pulita dei suoi muscoli per conoscere nazioni e popoli con un ritmo lento. Per questo intraprende viaggi con amici e con la famiglia, in bicicletta o a piedi, alla ricerca di itinerari con suggestioni storiche, letterarie, sportive o spirituali. E poi li racconta.

Alberto Fiorin ha progettato e compiuto in bicicletta, sotto l’egida di “Ponte di pace”, associazione di cui è uno dei fondatori, alcuni grandi viaggi a pedali: da Venezia a Pechino (2002), da Venezia a Gerusalemme (2004), da Venezia a Capo Nord (2007) e da Bassano del Grappa a Dakar (2012). È un autore assai prolifico e direttore artistico di “Ciclomundi”, il festival nazionale del viaggio in bicicletta promosso da Ediciclo Editore. Sostenitore della mobilità dolce, prova a diffondere e a trasmettere – attraverso scritti, incontri, conferenze, dibattiti, spettacoli teatrali, incontri nelle scuole, reading musicali – la bellezza della lentezza.

Tanti scelgono l’aereo, lei la bicicletta, com’è nata questa passione?
Per scelta non ho la patente, vivere a Venezia in qualche modo mi ha agevolato in questa decisione, e i motori e la benzina mi hanno sempre trasmesso inquietudine. Per questo, fin dall’età di quindici anni, ho vissuto la bicicletta come il mezzo per poter essere libero, spostarmi, viaggiare, conoscere il mondo. Ricordo perfettamente la prima escursione con i compagni di liceo nel 1975, come prima meta la Toscana e l’Umbria, e ancora adesso rivivo le stesse emozioni provate in quel viaggio, compiuto con quattro quindicenni brufolosi ma avventurosi, quasi quarant’anni fa.

Ha fatto tantissime spedizioni ciclistiche, quale ricorda con più nostalgia?
In bicicletta per fare un grande viaggio non è necessario fare un viaggio grande: anche un’escursione di due o tre giorni nei pressi di casa ti fa percepire il mondo con occhi diversi, perché in bici tutto è conquistato, pedalata dopo pedalata, e quello che ottieni con le tue forze – sia il raggiungimento di un paesino o l’arrivo in cima a un passo dolomitico – ha necessariamente un sapore diverso, più intenso, più vero. Poi, è anche straordinario poter scoprire il mondo dall’alto della sella, vedere il deserto, giungere fino a capitali lontane, incontrare persone sconosciute con cui non hai niente in comune, ma che ti accolgono come un fratello, comprendono che hai bisogno di aiuto – e in bicicletta hai sempre bisogno di qualcosa: dall’ombra a un bicchiere d’acqua, da un riparo dalla pioggia a un piatto di pasta – e ti offrono la loro assistenza. La straordinarietà di viaggi lunghi e importanti sta proprio in tutto ciò e a questo riguardo ripenso sempre con piacere e nostalgia al viaggio del 2004 da Venezia a Gerusalemme e Betlemme attraverso Slovenia, Croazia, Serbia, Turchia, Siria, Giordania, Israele e Territori occupati.

Ha dichiarato di essere un amante del ritmo “lento”, cosa significa?
La mia è una filosofia di vita: in un mondo sempre più segnato dalla velocità, dal bisogno di fare tante cose e sempre più celermente – con l’enorme rischio di essere superficiali e tralasciare aspetti importanti – sento l’esigenza di soffermarmi maggiormente su qualunque aspetto della vita, dal più importante a quello apparentemente più banale. Per usare una metafora di viaggio, il mondo non voglio sorvolarlo ma entrarci dentro. Quindi in un viaggio non sono tanto il punto di partenza e quello d’arrivo ad interessarmi, ma tutto quello che si trova in mezzo.

Preparazione fisica, burocratica, organizzativa prima del viaggio: che ruolo ha la tecnologia?
Studiare a fondo un tragitto, affondare il naso nelle carte geografiche e nei libri, nelle guide e nei pieghevoli turistici per lasciare meno spazio possibile agli imprevisti è uno degli aspetti più esaltanti del viaggio stesso. Certamente oggi è reso tutto più facile dalla tecnologia, i contatti si realizzano grazie ad un tasto del computer, le risposte sono in tempo reale, i percorsi possono essere studiati con precisione quasi millimetrica grazie a strumenti come Google Earth, le lunghe e costosissime telefonate in lontane ambasciate caucasiche sono ormai un ricordo passato. Poi, però, oltre al comodissimo digitale, persiste il fascino del cartaceo e una mappa stradale è sempre e comunque strumento indispensabile su cui sublimare i tuoi dubbi, soprattutto strada facendo, quando l’asfalto scorre sotto i tuoi copertoni. E, per quanto riguarda il gps, io nella mia bici ancora non l’utilizzo, preferisco i cari vecchi cartelli stradali, che ogni tanto però ti portano sulla cattiva strada…

Nel corso di un viaggio, ha mai pensato o dovuto abbandonare e tornare a casa?
Se organizzi spedizioni in territori difficili, devi sapere che in ogni momento può succedere qualcosa che ti costringe ad abbandonare il percorso, ma la cosa importante è non accanirsi e voler giungere ad ogni costo, mettendo a rischio la propria incolumità. Quando, ad esempio, abbiamo dovuto rinunciare all’ultima tappa del nostro tour egiziano da Il Cairo ad Abu Symbel, epica, di circa 300 km nel deserto sconciante, da Assuan ad Abu Symbel, perché la polizia locale – dopo averci illuso per giorni promettendoci che ci avrebbero concesso un permesso speciale – ce lo ha vietato, siamo stati assai delusi ma abbiamo rispettato la decisione. Pazienza.

Appassionato di storia moderna, scrittura e bicicletta: in che modo lega questi tre interessi?
Spesso e volentieri ho organizzato viaggi sull’onda di suggestioni letterarie e storiche, come quando sono andato a piedi con un asinello sulle tracce di Robert Louis Stevenson e del suo viaggio in Francia, nelle Cevennes, o quando sempre a piedi con mia moglie Tiziana abbiamo camminato a fianco del Vallo di Adriano tra Inghilterra e Scozia, o quando abbiamo nel 1992 percorso a piedi il cammino di Santiago sulla suggestione dei diari medievali di pellegrini più o meno famosi. Per non parlare dell’influenza che ha avuto su di me il Milione di Marco Polo. E di tutti questi viaggi, lenti ma affascinanti, ho sentito l’esigenza di scrivere per raccontare anche ad altri la bellezza e la pienezza di simili esperienze.

Un libro per ogni suo viaggio, o quasi: che significato hanno per lei questi racconti?
È appunto il mio tentativo di far capire quanto sia straordinario ed esaltante e il mio obiettivo è quello di trasmettere la passione per questo tipo di viaggi. Infatti tutti questi libri e le guide alle più importanti piste ciclabili europee nascono proprio con questo intento, contengono molti indirizzi utili e spunti affinché il lettore possa partire anche lui e rifare il nostro stesso percorso.

Sul suo sito web dice esplicitamente di non avere la patente, pensa le servirà mai un giorno?
Sinceramente non credo, anche se non voglio dare l’impressione di essere un “talebano” della bicicletta. Se serve – e a volte serve – salgo in macchina e mi faccio accompagnare dove serve. Ma sono abbastanza sicuro che personalmente non prenderò mai la patente.