Cultura, Territorio, Impresa la tradizione come valore per lo sviluppo
La storia dell’industrializzazione italiana, soprattutto nelle due aree geografi che denominate spesso come la ‘locomotiva’ d’Italia e indentificate come Nord Ovest e Nord Est è essenzialmente una ‘storia di famiglie’. Insigni esempi, che hanno saputo creare un modello industriale di alto profilo e hanno contribuito a far nascere all’estero il mito della creatività italiana. Un tessuto di famiglie spesso di origine artigiana. Uomini ‘sapienti’ nei loro mestieri che hanno reso l’Italia secondo Paese europeo nell’esportazione dopo la Germania.
È essenzialmente a partire dalla fi ne della Seconda Guerra Mondiale che l’Italia ha conosciuto profondi cambiamenti economici, trasformandosi da Paese più o meno arretrato a una delle maggiori potenze economiche mondiali. Questo, grazie ad un ininterrotto processo di crescita durato fino alla fine degli anni Novanta del XX secolo.
Eppure, soprattutto tra il 1958 e il 1963 l’industria italiana conobbe il suo straordinario sviluppo: tra i settori trainanti il manifatturiero, quello della meccanica, della chimica e dell’elettricità. Allora si cominciò a parlare di ‘miracolo economico’. L’Italia divenne la settima potenza industriale del mondo, anche se l’economia nazionale continuò a presentare sempre due volti differenti: un sud arretrato con un’agricoltura ancora in gran parte latifondistica, e un nord con un forte insediamento industriale, favorito anche dallo sviluppo di moderne infrastrutture.
Anche nella fascia settentrionale del Paese ci fu una differenza essenziale: ad un dinamico e intenso processo di industrializzazione e internazionalizzazione del Nord Ovest – già a partire dalla costituzione d’Italia, anche per effetto della politica economica nazionale – si contrappone uno sviluppo nella zona Nord Est, prevalentemente agricola, più ‘dolce’ e inizialmente a carattere artigianale. Nel primo decennio del 1900, infatti, il 55% del valore aggiunto industriale proveniva dal Nord Ovest.
E la fase di industrializzazione italiana arrivò a compimento negli anni ’80, con l’inizio della terziarizzazione dell’economia – che portò lo sviluppo dei servizi bancari, assicurativi, commerciali, finanziari e della comunicazione.
Periodo di grande rilievo fu comunque quello degli anni ’70, in cui cominciò a farsi sentire l’esigenza di rinnovamento dovuta principalmente allo sviluppo di nuove tecnologie e allo sviluppo di settori dove si realizzavano importanti economie di scala. In particolare la siderurgia, l’elettricità, le raffinerie di petrolio e la meccanica. Si avviò, di conseguenza, una fase di ristrutturazione delle medie e grandi imprese.
Nel periodo del boom economico l’area del Nord Est, che nelle ripartizioni territoriali ufficiali comprende il Veneto, il Friuli Venezia-Giulia, Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna, si distinse in particolare. Pur essendo regioni diverse tra loro, per caratteristiche istituzionali e sociali, ebbero un comune denominatore: la presenza di un fitto tessuto di piccole e medie imprese di matrice familiare che diede vita ad un modello industriale esportato e studiato.
Rispetto ad un Nord Ovest che fu l’area di prima industrializzazione del Paese, il Nord Est ha saputo in 30 anni trasformarsi da area in ritardo di sviluppo ad area evoluta, grazie anche ad un radicamento di tradizione artigianale che servì in molti casi come base per il rilancio delle piccole imprese. Anche se furono determinanti cambiamenti tecnologici e di mercato. Le nuove condizioni, – tra le quali anche l’assenza di grandi aziende guida – gratificarono, infatti, la produzione su scala minore e quindi la flessibilità del capitale e del lavoro tipica delle piccole imprese le quali potevano specializzarsi su determinati tipi di lavorazione.
Il mito del Nord Est nonostante le difficoltà dovette la sua persistenza anche alla robustezza delle reti e dei legami delle imprese – di famiglia – con il territorio locale, nonostante la forte proiezione, quasi fin dall’inizio, sui mercati internazionali.