Arte e tecnologia – L’arte e i new media: quando l’imperativo è comunicare

Arte e tecnologia – L’arte e i new media: quando l’imperativo è comunicare

Sempre più labile il confine tra strumento e contenuto nelle ricerche artistiche contemporanee che esplorano le nuove tecnologie

La comunicazione è un tema che sottende moltissime riflessioni e ricerche artistiche del nostro tempo, a volte esplicitamente esplorata e resa l’oggetto di indagine vero e proprio, altre volte emergente quasi suo malgrado, silenziosamente ma inevitabilmente. Comunicazione è infatti un termine che permea la nostra era, fatta di social media e di digitale, e non sorprende che mezzi di espressione e il loro oggetto e contenuto si intersechino in modo costante, influenzandosi reciprocamente nelle loro evoluzioni, spesso rapidissime e inaspettate.

Date queste premesse, appare chiaro che comunicare diventa una parola chiave anche e soprattutto nelle ricerche degli artisti contemporanei che hanno scelto le nuove tecnologie e i nuovi media come mezzo di espressione e di indagine, poiché nascono proprio come strumenti per rendere più efficace, rapido, interattivo lo scambio di informazioni, quasi sempre andando a modificare il contenuto stesso, che sempre più si fonde con il mezzo.

All’interno di questo discorso, un’esplorazione che mette a nudo la comunicazione per se è l’opera “Radioactive Live Soundscape” (2016) del giapponese Hill Kobayashi, in cui le comunicazioni satellitari sono l’oggetto e il medium fondamentale dell’opera stessa, che ce le svela in modo quasi scarno e brutale, legandosi a tematiche drammaticamente attuali. L’artista ha infatti posizionato un microfono nella zona radioattiva del disastro nucleare di Fukushima, a 10 km dalla centrale nucleare: sfruttando le comunicazioni satellitari, è in grado di farci ascoltare dall’altra parte del mondo, in diretta 24 ore su 24, il paesaggio sonoro di questa zona contaminata, ora vietata all’uomo. Un gesto semplice, ma che proprio nella sua semplicità rappresenta una forte presa di coscienza del dramma legato alle azioni umane e insieme un tentativo di conservazione e archiviazione di questi suoni, per indagini future ma anche come messaggio di speranza, come ascolto del sommesso rumore della vita che, nonostante tutto, continua.

Addentrandoci in un diverso filone, il vasto mondo dei social è l’area di indagine dell’artista russa Genya Krikova, che mette ludicamente al centro della suo opera “@Voyager Mirror” il fenomeno dilagante del selfie, collegandolo all’ancestrale tematica dello specchio, in una riflessione ironica sulla deriva narcisistica della nostra società ed esaltando l’aspetto partecipatorio e interattivo che è proprio dei social.
L’opera del 2015 è molto semplicemente costituita da uno specchio, come il titolo stesso ci suggerisce: lo spettatore è invitato a scattarsi una foto premendo un pulsante, foto che verrà istantaneamente postata sul profilo Twitter collegato, e lanciata nello spazio infinito del web, rifacendosi al modo in cui il Voyager Golden Record venne rilasciato nello spazio interstellare sul finire degli anni Settanta per raggiungere forme di vita extraterrestri.

L’interattività che riscontriamo in quest’opera sembra essere una delle caratteristiche quasi imprescindibili delle opere che nel contemporaneo che fanno della tecnologia il loro elemento fondante, evidenziando un cambiamento importante anche nel modo di comunicare l’arte stessa. Siamo ormai lontani anni luce dalla dicotomia tra oggetto artistico e spettatore. Quest’ultimo anzi da spettatore diventa creatore, costruttore di significato, rispecchiando quello che sta avvenendo in modo più ampio nel mondo della comunicazione in generale.

In questa prospettiva si colloca l’opera del giovanissimo collettivo artistico Taiwanese Ku.Mon. Studio. “Plant Plan” del 2016 può essere definita una vera e propria opera partecipativa, che porta l’arte più tradizionale a un nuovo livello attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Inserendosi nel discorso ambientalistico e ponendosi come riflessione sul futuro del nostro pianeta, “Plant Plan” invita le persone a disegnare fiori e piante su fogli di carta fatta a mano a partire da materiali organici riciclati e contenente diverse varietà di semi. I disegni prendono letteralmente vita con la tecnica della proiezione aumentata: appoggiandoli alla parete di proiezione, e combinandoli con azioni nella vita reale, ad esempio compiendo il gesto di annaffiare il fiore nel disegno, si vedrà questo fiore germogliare virtualmente. Anche in questo caso, la banalità dei gesti cela un profondo intento educativo e nasconde un forte messaggio di speranza, con l’invito rivolto a chi prende parte all’opera di portare con sé la carta contenente il seme, piantarlo e farlo realmente germogliare nel terreno, ripetendo e facendo avverare nella realtà quello che si era compiuto solo in una dimensione virtuale, creando così un forte momento di riflessione attivato dall’esperienza. È evidente infatti come sia proprio l’azione virtuale compiuta nel contesto dell’installazione a custodire ed attivare un prezioso processo di apprendimento e di comunicazione, che nel quotidiano rischierebbe di passare
inosservato.