Andrea Saletti – Neuromarketing: passioni ed emozioni per ricordare un brand
Far emergere ciò che è già presente nel nostro subconscio per convincere
Con l’overdose di informazioni a cui siamo sottoposti, il neuromaketing gioca un ruolo essenziale nella vendita, poiché è attestato che, agendo su degli specifici stimoli celebrali, si ottengono delle reazioni prevedibili. Un vantaggio non da poco se pensiamo che viene utilizzato dalla maggior parte dei grandi brand presenti sul mercato. In questo marasma di dati rimane principalmente più impressa quell’informazione che più riesce a coinvolgere emotivamente.
Neuromarketing: di cosa stiamo parlando?
Il neuromarketing è una disciplina affascinante, che fonda le sue regole sullo studio scientifico di come il cervello umano reagisce agli stimoli di marketing. Il termine è stato coniato nel 2002 da Ale Smidts, professore di marketing alla School of Management di Rotterdam. Il suo obiettivo era di riunire in un’unica parola il concetto di neuroscienze applicate alle strategie di vendita. Il neuromarketing oggi è impiegato in svariati ambiti incrociando esperienze sensoriali diverse, nel web (neuro web marketing) l’attenzione è principalmente posta sull’aspetto visivo della comunicazione, dove viene analizzato nel dettaglio come particolari stimoli siano in grado di influenzare ampiamente le azioni di un utente durante la navigazione di un sito.
Siamo nell’era dell’iper informazione: cosa resta in mente dopo continui bombardamenti pubblicitari? L’effetto è lo stesso se siamo on oppure off line?
Online oppure off line cambia poco. Da un recente studio del Centro Nazionale di Informazione Biotecnologica USA è emerso che la capacità di attenzione media umana è scesa a 8 secondi… 1 secondo in meno di quella di un pesce rosso! Questo a causa della frequenza di interruzioni a cui siamo sottoposti durante l’arco della giornata (notifiche digitali, pubblicità, rumore visivo e uditivo), interruzioni che costringono la nostra memoria a un costante lavoro di filtro dell’inutile. Considera che non siamo stati “preparati” per gestire correttamente questa situazione, e, infatti, non sempre i meccanismi cognitivi reagiscono in maniera prevedibile. Possiamo però dire che ciò che rimane in mente dopo un’overdose informativa di tale portata è principalmente ciò che più riesce a stimolarci emotivamente, in relazione a passioni e desideri che siano però già esistenti nel nostro subconscio. Il marketing emozionale (e il neuromarketing) hanno quindi lo scopo di far emergere ciò che esiste già dentro di noi e di proiettare questo stato d’animo sul prodotto o servizio che viene promosso.
Quali sono gli strumenti e le strategie di neuromarketing applicate sul web?
Gli strumenti utilizzati per misurare le risposte agli stimoli di marketing (ti parlo del web che è il mio principale campo esperienziale) sono solitamente l’elettroencefalogramma (EEG) combinato con l’eye tracking (software che registra i punti di focalizzazione dell’utente mentre guarda un contenuto digitale), in alcuni casi l’analisi delle espressioni facciali e del battito cardiaco, ma diciamo che questi ultimi due sono opzionali rispetto ai precedenti. Se ci pensi, solo qualche tempo fa per arrivare a certe conclusioni eravamo costretti ad incrociare dati di navigazione, di analisi comportamentale, registrazioni di sessioni, a fare supposizioni per poi inventarci un possibile tracciamento a verifica delle stesse. Processi vincolati a tempi molto lunghi di implementazione. Ora con gli strumenti giusti, a costi finalmente accessibili, si possono ottenere le stesse informazioni (o comunque confermarle in modo complementare) in tempi brevissimi.
Quali sono le leve che spingono i consumatori a ricordarsi di un brand e ad associarlo a qualcosa di piacevole, di positivo, che crea soddisfazione?
Viviamo in un’epoca dove i brand sono esperienziali. È impossibile se ci pensi scindere la percezione del marchio di un prodotto, che magari stai indossando in questo momento, dalle situazioni esperienziali che hai vissuto attorno ad esso prima e dopo l’acquisto (il negozio dove l’hai comprato, la pubblicità che hai visto, il packaging che hai scartato, come ti senti ad indossarlo, etc…). La somma delle sensazioni che hai provato ha generato in te una chiara emozione, che inconsciamente continuerai ad associare al brand. Nel digitale funziona più o meno allo stesso modo: memoria, emozioni, desiderio, vengono influenzati dalla user experience. Sia al di fuori che all’interno del tuo sito web.
Esiste un follow up quando si applica il neuromarketing ad un prodotto o un servizio?
Ogni strategia volta al miglioramento delle conversioni di un sito web è sempre parte di un processo senza termine. Dopo aver fatto un’analisi si formulano delle ipotesi, si testano e una volta appurata la loro efficacia vengono applicate ufficialmente. Poi il processo riparte: nuove analisi, nuove ipotesi, nuovi test, etc… il web e la comunicazione sono in costante cambiamento, allo stesso modo deve essere la nostra ottimizzazione delle conversioni.
Quali sono gli elementi di neuromarketing da cui un sito internet non può prescindere?
Beh diciamo che per rispondere a questa domanda ho dovuto scriverci un libro sopra! A parte gli scherzi, quella che ritengo sia la strategia vincente è investire più tempo possibile nel comprendere e segmentare le tipologie di utenti con cui andremo a comunicare. A quel punto è necessario fornire loro 3 ingredienti indispensabili: un ambiente conosciuto (stravolgere le convenzioni a cui siamo abituati significa fare uno sforzo di adattamento che difficilmente decidiamo di intraprendere), una proiezione emozionale proiettata sul prodotto/servizio (cosa proverai, come ti sentirai quando finalmente otterrai ciò che desideri?) e infine uno o più dettagli che superino il “già visto” (le piccole novità che non ci aspettiamo aumentano il flusso dopaminergico, desiderio e memoria a medio lungo termine).
Si può applicare il neuromarketing ai social? In che modo?
Il limite dei social è che costringono a comunicare in ambienti con poco margine di libertà in termini di dimensioni, forme, colori, disposizione degli elementi. Quello che si può fare sui social è lavorare tantissimo sul copy e sui contenuti media utilizzati, partendo dal modificare la comunicazione da autoreferenziale a rivolta verso i benefici per l’utente: mai dire “noi facciamo questo”, ma variare l’intento in “grazie a noi tu potrai finalmente ottenere questo risultato”.
Le aziende credono nelle strategie di neuromarketing?
Sto notando, specialmente nell’ultimo anno, un forte interesse all’argomento. Esistono sul territorio diverse realtà che finalmente hanno esteso le proprie competenze a questa disciplina, così come agenzie specializzate in grado di fare analisi molto approfondite su caratteristiche ed efficacia di prodotti/servizi/ambienti di vendita. So che addirittura un’importante casa editrice italiana ha un’area interna dedicata all’individuazione dei perfetti titoli delle sue pubblicazioni: la scelta delle giuste parole e delle giuste frasi, infatti, è in grado di evocare stati d’animo ed emozioni altamente motivanti.