AMORE PER IL TERRITORIO E FASCINO DELLA SCOPERTA
Marzio Bruseghin, professionista dal 1997 al 2012, vanta diversi piazzamenti tra i primi dieci nelle classifiche finali di Grandi Giri e ha vestito sette volte la maglia della Nazionale italiana ai Campionati del mondo. Ma il suo ruolo preferito è stato sempre di ‘gregario’ e la sua gara più bella le Olimpiadi di Pechino, un sogno da bambino.
Si fa fatica a raggiungere Marzio Bruseghin, lassù a Piadera, in cima ai boschi scoscesi delle Prealpi Trevigiane. Ci lasciamo la bellissima e antica cittadina di Vittorio Veneto alle spalle e a valle, e iniziamo a salire lentamente. È impossibile non restare ammaliati dal panorama mozzafiato: immersi tra boschi e montagne, ai piedi del Cansiglio, una casa, una stalla, poi 15 ettari di terreno che va su e giù per forre e vallette, si apre su campi e radure, fin oltre l’altro versante della collina. È qui che abita Marzio, qui che oggi fa ‘l’apprendista contadino’ all’interno della piccola azienda agricola di S. Maman, avviata con l’aiuto delle famiglia che abita in un’altra casa a poche decine di metri dalla sua. Perché per Marzio, i campi, le montagne, e i propri cari sono sempre stati importanti: origine e bussola nel lungo percorso, tutto rigorosamente in bici.
“Da ragazzino – ci racconta – sono sempre stato uno sportivo, mi piaceva molto il calcio e ci giocavo spesso. Ma, abitando tra i campi a Cappella Maggiore, poco distante da Vittorio Veneto, utilizzavo la bici soprattutto come mezzo di trasporto per andare a scuola, e per evadere. Il primo che mi ha insegnato ad andarci è stato mio nonno: ci provava sui campi così potevo approfittare della pendenza per partire ma fin quando non ho capito che dovevo anche pedalare, cadevo di continuo… per fortuna sul morbido terreno!”.
Bici: una passione di famiglia, ma anche una tradizione e una cultura per il territorio veneto. All’età di 16 anni, anche a causa di un piccolo infortunio calcistico, Marzio decide di salire sul sellino e provare ad allenarsi: “Lì ho capito che era molto più divertente praticare il ciclismo che guardarlo alla tv!”. Inizia così la sua storia e poi prosegue nelle varie categorie e crescendo di livello e preparazione. “Ma per me è sempre rimasto un mezzo per sognare un po’ – precisa – per osservare la natura e attraversare distanze anche grandi riuscendo a cogliere i dettagli, gli odori, i suoni del territorio. Con la bici sei collegato al posto in cui ti trovi con tutti i tuoi sensi. Questo vale anche per le persone che incontri sulla tua strada e, se anche decidi di fermarti, non devi sforzarti per trovare parcheggio!”.
Scherza Marzio, ci chiede di dargli del tu dopo averci accolto in casa, così, con semplicità, come fossimo di famiglia. “Io sono uno storicamente innamorato delle nostre zone che ritengo assai piacevoli da attraversare in bici, per il tipo di territorio, così vario da poter decidere se pedalare in altura, in collina, o persino in spiaggia, per il clima mite e anche per il rispetto portato dalla gente del posto ai ciclisti”. Inizia qui la sua carriera professionistica, esattamente nel ’97 a 22 anni, quando fa il suo ingresso in una squadra che si chiamava Brescialat. “Avevo avuto una discreta carriera da dilettante e devo ringraziare la famiglia Pinarello, alla direzione dell’omonima azienda di biciclette, che quell’anno riforniva la squadra e mi ha dato la possibilità di entrarci. In effetti il marchio Pinarello ha inaugurato la mia strada e poi l’ha accompagnata per ben oltre 10 anni.”.
Da lì in poi arriva la stagione più bella. Dal 2003 al 2005 Marzio Bruseghin ottiene diversi piazzamenti, tra cui due secondi posti in tappe del Giro d’Italia, un secondo posto al Campionato nazionale in linea 2005 ed una sesta piazza al Campionato mondiale a cronometro 2004. Al Giro d’Italia del 2008, a cui per la prima volta partecipa da capitano, sale sul terzo gradino del podio finale, anche alla Vuelta a España fa classifica, e si piazza nono: avendo disputato nello stesso anno anche il Tour de France, risulta uno dei pochi corridori ad aver gareggiato in tutti e tre i Grandi Giri della stagione.
La difficoltà più grande? “Superare il senso di distacco e di lontananza dal paese e dai propri cari, proprio per il grande attaccamento che ho ai luoghi e alla comunità. Senza dimenticare le difficoltà del salto tecnico, che in quegli anni doveva essere sicuramente più evidente nel passaggio dal dilettantismo al professionismo rispetto a quello che succede oggi”. Anche sulla competizione più emozionante non ha dubbi: i Giochi Olimpici di Pechino nel 2008. “È stato il momento più intenso in assoluto di tutta la mia carriera. Guardavo le Olimpiadi da bambino, ricordo ancora quando mi svegliavo di notte per assistere a quella di Los Angeles in tv: per me hanno sempre avuto un grande fascino perché sono l’espressione più forte e completa dello sport. Anche se in quell’occasione non sono arrivato tra i primi 10 nelle prove sostenute, lo ricorderò sempre come un momento di grandissima trepidazione”.
Lo percepisci che è così e che per Marzio una grande emozione vale più di una grande vittoria. E se poi la vincita è della squadra, più che del singolo, che differenza fa: “Il ciclismo di squadra è lo sport di gruppo più individualista che io conosca. In realtà gareggi sempre da solo ma per il successo del team. E se anche il traguardo viene finalizzato da uno solo sai sempre che senza il tuo contributo non si sarebbe mai arrivati a quel risultato, e questa consapevolezza riempie di orgoglio e soddisfazione. Penso che tante volte oggi si perde la capacità di accettare i propri limiti e trasformarli in una forza. Nel mio caso, infatti, è stato proprio capire il mio limite come capitano che mi ha dato la possibilità di trovare uno spazio lavorativo, altrettanto soddisfacente, e mi ha permesso di condurre una così bella e lunga carriera”.
Giovane e con le idee chiare, Marzio Bruseghin ha fatto della sua umiltà un valore da sportivo: “Mi chiedi del territorio? – ripete – Beh, sicuramente ho ricevuto da queste terre più di quello che ho dato. Oltre alla passione e tradizone per la bici, nate qui, il calore e l’affetto della comunità, gli applausi e i festeggiamenti anche per i traguardi mancati sono stati il ritorno più grande. E adesso provo anch’io a fare qualcosa per la mia terra: sono un apprendista contandino!”. Da bambino sognava di lavorare in mezzo alla natura, seminando o facendo la guardia forestale. Da qualche anno sta provando a realizzare questo sogno portando avanti un’azienda agricola da fiaba, lì tra i monti e la valle, che prende il nome di S. Maman da un ex santuario nelle vicinanze storicamente protettore delle nutrici. Il prosecco di Piadera, dal nome del marchio, altro non è che latte della terra con la quale Marzio vorrebbe ricostruire un rapporto di rispetto e amore reciproco, indirizzando la sua produzione verso un tipo di agricoltura biolgica. “Amets, sempre dall’etichetta della bottiglia, significa sogno in lingua basca – descrive – perché il mio sogno è quello di trasmettere a questo prosecco tutta la bellezza e la passione per questi posti, per la Piadera, cosicchè solo a berlo si possa immaginare la sua origine. È una sfida anche questa ma a me piacciono le sfide. Intanto, provate ad assaggiare – conclude Marzio con un sorriso – e vediamo quanto ancora sono distante dal traguardo”.